Ferme tutte, titola il manifesto. Repubblica dedica un’intera pagina agli ombrelli colorati che occupano una grande piazza in Polonia. E sotto quegli ombrelli i primi piani delle donne. Una di loro alza al cielo una gruccia, strumento di aborto clandestino, come mezzo secolo fa la Marianna del maggio francese brandiva una bandiera del FLN vietnamita, contro la legge del più forte. Le donne son tornate, e a Varsavia – le loro antiche sorelle narrate da Aristofane – hanno scioperato contro la guerra mondiale a pezzi, di cui la guerra contro le donne è parte essenziale. Dagli stupri in India, alla fustigazione nelle terre del califfo se non indossi un burka integrale, al partito Diritto e Giustizia, di Jaroslaw Kaczynski e della premier Beata Szydlo che vuole proibire l’aborto in Polonia anche se sussiste il rischio per la vita della madre, se sono provate gravi e irreversibili malformazioni del feto o la gravidanza è frutto di violenza o incesto. “Proibito proibire”. “Siamo realisti chiediamo l’impossibile”. “Fate l’amore non la guerra”, slogan del lontano 1968. Oggi la mondializzazione commerciale si è impadronita di quelle parole ma per farne promesse bugiarde. Lasciando solo a una piccola fetta del pianeta la libertà di consumare. Mentre tornano le guerre, torna il disprezzo per i diritti, l’attacco alle conquiste sociali, torna il cinismo degli stati e porta con sé la voglia di muri nel cuore dell’Europa o alla frontiera con il Messico, fino a una nuova, virtuale, cortina di ferro tra Stati Uniti e Russia. Però dalle ragazze che scioperano a Varsavia, dal no di Budapest al nazionalismo razzista di Orban, dai 300mila tornati nel Labour per sostenere il vecchio Corbyn, si può ben ripartire. Basta non avere paura, perché è la paura il nostro muro dentro – spiega Andrea Camilleri – che crea recinti di filo spinato fuori.
Non si truccano i conti. L’alt di Bankitalia non poteva essere più netto. Beninteso l’istituto di via Nazionale condivide gli obiettivi del governo Renzi, ha sostenuto la sua riforma del mercato del lavoro, e i regali alle imprese, e l’ottimismo diffuso a piene mani per spingere la classe media a spendere e a consumare. Ma non può accettare, Bankitalia, un DEF con previsioni di crescita taroccate, conti che si fanno tornare anche quando non tornerebbero. “Bankitalia gela Renzi”, scrive Repubblica. “Dubbi sulla crescita”, Corriere. “La manovra è un falso in bilancio”, secondo il Fatto. Il governo replica: se queste cifre non sono vere oggi, lo saranno domani. La risposta è nota: già in passato Renzi ebbe a dire: se nessuno ha una legge come l’Italicum, presto tutti la imiteranno”. Addomesticare la realtà cruda dei numeri serve per tener alto il morale degli elettori, il buon umore li spingerà a dire Sì, il Sì rafforzerà il governo guidato da Renzi, e la stabilità del governo sarà condizione per la crescita. È la politica secondo Matteo Renzi. Lui, certo, non lo sa ma quando è crollata l’Unione Sovietica gli studiosi scoprirono che l’intero esercizio della pianificazione socialista si basava sulla menzogna. Perché ogni consiglio di gestione nascondeva le perdite d’impresa e drogava i successi: così si producevano sempre più scarpe che sempre meno russi acquistavano. I conti tornavano al Cremlino ma non tornavano a Bibirevo, nei sobborghi di Mosca. Andando ancora indietro, quella frase sull’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione voleva dire solo che si può sognare il futuro anche senza ingannare il presente. Ma Renzi non lo sa.
La sfiducia dei giovani ignorati. Dario Di Vico propone, in apertura del Corriere, uno studio di Cisl e Acli su un campione di ventenni romani. “I due terzi dei giovani pur di trovare un posto di lavoro sarebbero disposti a rinunciare alle sacre conquiste dei padri e delle madri. Ferie, copertura della malattia, indennità di maternità”. Dunque, “ignorati” e dimenticati quei giovani hanno capito. Dopo tutto sono in sintonia con il governo, il quale – scrive Massimo Gramellini – “nella brochure del famoso piano Industria 4.0 (credo significhi: Industria 4 – Italia 0) che dovrebbe indurre gli stranieri a investire da noi, afferma testualmente: «L’Italia offre un livello di salari competitivo che cresce meno rispetto al resto della Unione Europea e una forza lavoro altamente qualificata». Cioè, ci si vanta del fatto che da noi quelli bravi costano poco…A mo’ di esempio attrattivo, la brochure esibisce, gonfiando il petto, la parabola esistenziale dell’ingegnere italiano medio, che guadagna 38.500 euro all’anno contro i quasi 50.000 intascati dal suo omologo europeo (e infatti emigra appena può)”. Naturalmente l’ufficio propaganda di Palazzo Chigi avrebbe anche potuto fare di peggio, pur di invogliare speculatori e sfruttatori. Avrebbe potuto, per esempio, vantare il modello dell’Ilva di Taranto. Dove i bambini malati aumentano del 26% e i casi di infarto del 10%. Ma il governo – denuncia il governatore Emiliano – non interviene, fa finta di niente, forse – aggiungo io – per non scoraggiare, con lacci e laccioli, la libertà sacra dell’impresa.
Se voti No, non cambia nulla, dice ai giovani una signora dai capelli d’argento nell’ultimo spot prodotto da Palazzo Chigi. Renzi ne è orgoglioso: “bisogna andare, con la concretezza che ci contraddistingue, a parlare di contenuti difficili con un linguaggio semplice”. Ma il gufo Dario Di Vico avanza il sospetto che il jobs act sia fallito (non solo per colpa di Renzi), che il governo non abbia più nulla da proporre ai ragazzi se non i voucher e perciò preferisca ora “scommettere su un’altra constituency, magari elettoralmente più affidabile come sembra essere quella dei pensionati. I segnali (evidenti) ci sono e il pericolo che i grandi assenti della legge di Bilancio 2017 alla fine siano i giovani e il lavoro appare in questi giorni elevato”. Valli a capire questi gufi! Pur di screditare gli sforzi del governo, arrivano a dire: “andrebbe invece evitato che le politiche economiche assomigliassero a un bricolage del consenso, a un tirar fuori dal mazzo la carta giudicata più adatta per giocare la partita del momento”.