Scrivo alle 7 del mattino in Italia, l’una di notte a New York, le 22 a San Francisco. E mi pare che sia stata una vittoria netta, quella di Trump e della destra americana. E ancora più netta la sconfitta di Harris, Biden, Obama e Clinton, della storia, oltre che dell’apparato, del Partito Democratico. Dicevano che l’economia andava bene, facendo propria l’opinione degli economisti. Ma una maggioranza di americani ritiene che i figli staranno peggio dei padri, che i consumi non saranno quelli di prima e i che prodotti americani siano i meno competitivi di quelli cinesi, meno apprezzati del lusso e del cibo i europei.
Dicevano i Dem che gli Stati Uniti restavano i più forti, la NATO sempre imbattibile e il G7 ancora il cuore del mondo. La maggioranza degli elettori chiede invece politiche protezioniste, che si usi la forza, anche militare, per favorire gli interessi diretti del loro paese. Che non si dia credito alle fole (sic) sulla malattia della nostra madre terra, mettendo a rischio le fonti energetiche fossili e il profitto. Infine, una coalizione ampia di uomini bianchi arrabbiati, neri impauriti, ispanici che si sentono americani e non vogliono nuovi arrivi dai paesi d’origine, trova nel disprezzo, se non nell’odio, per i migranti un “oggetto di sostituzione”, su cui sfogare la rabbia.
Non cambio in nulla il mio giudizio su Trump. È un pericolo non solo, e non tanto, per libertà e democrazia – c’è molta esagerazione nel parlare sempre insieme di democrazia e libertà, perché la democrazia può essere illiberale e dispotica- ma un pericolo per il mondo. L’egenonismo degli Stati Uniti -per usare un termine caro ai cinesi- diventerà pervasivo e molto prepotente. Come si capisce già dal colpo di stato messo a segno ieri da Netanyahu, che ha licenziato, con la guerra in corso, il ministro della difesa Gallant e che vuole far fuori gli alti responsabile di esercito e intelligence. E naturalmente della polizia, che ieri aveva fatto irruzione nei suoi uffici, accusando suoi stretti collaboratori di aver diffuso segreti di stato, taroccati, per sostenere stragi e colonialismo del premier.
Vedremo se, e quanto, il Deep State americano (Pentagono, Servizi Segreti, Dipartimento di Stato) saprà contenere Trump. L’opposizione politica perde, oltre che la Casa Bianca anche il Senato e si può solo sperare -magra speranza- che si riprenda la camera bassa. Dovrà trovarsi un’anima, ripensare la propria identità. Proprio come dovrà fare la sinistra europea. Le nostre destre festeggeranno, in modo rivoltante, per la vittoria di Trump. Ma poi pagheranno, pagheranno e ancora pagheranno. Voglio vedere Marine Le Pen quando gli Stati Uniti raddoppieranno i dazi su vino e formaggi francesi. Alternative for Deutschland, quando la crisi della loro industria dell’auto verrà ingigantita dal protezionismo degli Stati Uniti. E Giorgia Meloni, quando sarà costretta a raddoppiare la spesa militare, saltando d’un balzo oltre la soglia dei 3mila miliardi del debito pubblico dell’Italia.
Tutto cambia. Come ho scritto fino alla nausea, l’imperialismo americano era due cose insieme. L’esibizione della forza bruta e l’idea di una “missione”, o di una “frontiera”, che desse a quella forza l’alibi di agire per il Bene, in difesa di Democrazia e Libertà. Tutto ciò è alle nostre spalle. Mai nessun impero, neppure quello britannico, mai l’impero di Roma antica, si è presentato al mondo con il volto, nudo, della voglia di prevalere. Nel proprio interesse.