La svolta USA: siamo in guerra, titola Repubblica. Eh già, gli Stati Uniti non possono permettere che Russia e Iran vincano da soli la guerra contro il Daesh. Non è più tempo di tergiversare. Dunque, elicotteri apache, istruttori a stelle e strisce con gli scarponi sul terreno, l’armata sunnita che Riyād sta approntando, truppe turche.
Isis, Putin evoca la bomba atomica, titola la Stampa. Lo zar è impazzito? L’atomica contro qualche decina di migliaia di terroristi mescolati a popolazioni inermi? No, Putin ricorda alla Turchia (e dunque la Nato) che la Russia è una potenza nucleare. E chiarisce che non tollererà concorrenza sleale. Facciano pure, Turchia e Nato, la loro guerra al Daesh (che sono in ritardo) ma non provino a fermare i russi né i loro alleati, iraniani o siriani.
Al Bagdadi, curato in Turchia e riparato in Libia, a Sirte. Notizia non confermata, attribuita a fonti libanesi o iraniane, ma rilanciata da agenzie e giornali di tutto il mondo. Lavrov, abile ministro degli esteri di Putin, conferma la notizia in modo indiretto: “Il Califfato vuole la Libia, una minaccia per l’Italia, ma la Russia è pronta a aiutarvi”, da Repubblica. I pezzi di una (potenziale) guerra mondiale vengono a comporsi nel puzzle dei segnali diplomatici, degli avvertimenti, dei ballon d’essai. Pericolosamente!
Francia, una Guantanamo anti Is, Repubblica, ma anche Stampa e Corriere. Valls ha sondato i giudici del Conseil d’État sull’eventualità di istituire “centri di detenzione per sospetti jihadisti”. É qualcosa di più dello stato d’urgenza, si tratta di una sospensione di garanzie fondamentali. Chi decide chi è sospetto e per quanto tempo? E ogni paese ha la sua Guantanamo che può tornare. A Parigi, il 17 ottobre del 1961 il prefetto Papon, che già aveva organizzato la deportazione degli ebrei sotto Vichy ma poi aveva collaborato con la resistenza, represse nel sangue una manifestazione del Fronte di Liberazione Algerino: persone arrestate e poi scomparse, cadaveri che galleggiavano nella Senna. Cinquantuno anni dopo è toccato proprio a Hollande “rendere omaggio alla memoria delle vittime”. Attenzione.
Risparmio, duello con l’Europa, scrive il Corriere. Titolo che comprime, e dunque nasconde, la notizia: “un pensionato perde tutto e si uccide”. “Le banche fanno il primo morto”, il Fatto. “Salva banche ci scappa un morto”, il Giornale. Luigino D’Angelo, sessantottenne di Civitavecchia, aveva investito risparmi e liquidazione, in totale 110mila euro, in obbligazioni della Banca Etruria. La Banca è stata salvata, lui la perso tutto e s’è impiccato. “Non è per i soldi – ha lasciato scritto al computer – è per lo smacco subito, per la dignità rubata”. Luigino è diventato “uno scarto”. Ora Tesoro e Banca d’Italia accusano l’Unione Europea di averci impedito di proteggere i risparmiatori, l’Europa nega.
A chi giova l’appello dei sindaci per l’unità del centro sinistra? A Renzi, il Manifesto non ha dubbi e titola “mal comune”. Anche Repubblica, che attribuisce al premier la seguente frase: “quella mossa è utile per vincere i ballottaggi”. Al contrario Massimo Franco, del Corriere, vede nell’appello di Doria, Pisapia e Zedda una minaccia per Renzi, se “le primarie diventano un referendum sul segretario” e racconta un premier “preoccupato dello scetticismo diffuso nel Pd sulla legge di stabilità”. E se si parlasse della politica che vogliamo? Perché, dopo tutto, le alleanze si fanno su scelte, programmi, profilo dei candidati.
Merkel donna dell’anno, Time, per i valori che ha affermato aprendo la Germania ai profughi siriani. Ma intanto è “strage di bambini tra i profughi. Da inizio dell’anno i morti sono 700”, dice la Stampa. Pure la donna dell’anno ha girato la testa altrove. Mentre Trump, esecrato per i “miliardi di chiacchiere” (anche razziste) in cui si produce, vola nei sondaggi. Financial Times pubblica un grafico – che non so riprodurre – che mostra quanto in quarant’anni sia diminuito il numero degli americani che guadagnavano fra i 30 e gli 80mila dollari. A favore dei più poveri e dei più ricchi. É la scomparsa della middle class, anima un tempo dell’Occidente, che alimenta rabbia, paura e sfiducia. Così Ignacio Lula, ex Presidente del Brasile, dice oggi al Pais: “Me gusteria que Podemos consiguiera un gran exito”.