Difesa comune europea. Ecco il piano che Renzi porterà a Hollande e Merkel lunedì, quando si incontreranno sulla portaerei Garibaldi al largo di Ventotene. La Stampa cita un’intervista a Le Monde di Gentiloni e Pinotti, ministri degli esteri e della difesa: “battaglioni comuni”, con forze d’eccellenza francesi, italiane e tedesche, “per difendere l’Europa”. È, più o meno, quello che Hollande vorrebbe sentirsi dire, per legare all’impegno dell’Europa contro il terrorismo la propria permanenza all’Eliseo (proprio lunedì il socialista Montebourg presenterà la sua candidatura alternativa alle primarie). E certo Gentiloni è preoccupato perché la Nato perde colpi e la Russia è sempre più protagonista, mentre la Pinotti – già candidata nella sua testa (e sfortunata) alla presidenza della repubblica – ci tiene moltissimo, come ormai è chiaro, a fare la bersagliera. Si capiscono le intenzioni. Sarebbe però davvero curioso che l’Europa dell’euro, invece di percorrere la strada dell’integrazione fiscale, scegliesse l’integrazione militare. Così come le leggo, mi sembrano follie!
Più investimenti e competitività. Ma che battaglioni d’Egitto! Repubblica sa bene dove batta il cuore di Renzi: l’economia, la ripresa forte che ci tiri via dal pantano dello “zerovinrgola” e ridoni il sorriso agli elettori. Peccato che “il piano per convincere la UE”, illustrato dal giornale di Calabresi, non sia stato partorito dal premier ma dal suo ministro Calenda, un’altra stella del governo che cerca di splendere almeno per un giorno. Così questo tal Calenda, già “manager di impresa”, come ricorda Repubblica, vuole superare “la politica dei bonus, dagli 80 euro all’ipotesi di aumentare la quattordicesima ai pensionati”, ovvero la politica di Renzi. “Io penso – dice – che è il momento di accelerare la spinta sulla competitività del sistema produttivo”, e scodella un “piano Industria 4.0”, studiato con Padoan e Nannicini, “che si fonda su forti stimoli fiscali agli investimenti in macchinari e beni digitali, ulteriore sostegno alla contrattazione aziendale, la costruzione di una rete di centri di eccellenza universitari sulla manifattura innovativa, misure per favorire la finanza per la crescita, un piano sulla formazione per imprese, studenti e lavoratori”. Mi immagino la telefonata che Matteo deve avergli fatto stamani: “bravo, bene, bis, ma queste cose dille in televisione (senza contraddittorio) il referendum lo vinciamo dando soldi agli statali, bonus ai pensionati e annunciando il taglio delle tasse per il ceto medio”. Repubblica ritiene, però, che una tale “strategia” sia impresentabile all’Europa, visti il nostro debito e il fatto che abbiamo già ottenuto “flessibilità”. Quindi tifa per una conversione di cui non c’è traccia.
Nasce il Renzi-Berlusconismo. E lo tiene a battesimo sul Corriere della Sera Angelo Panebianco. “Di sicuro – scrive – Renzi ha ormai capito da un pezzo che la rottura del patto del Nazareno con Berlusconi è stato l’errore più grave da lui commesso. Senza quel passo falso oggi Renzi potrebbe guardare con serenità alla scadenza del referendum”. Allora il quesito è: come rimetterli assieme, quei due, senza che Silvio perda la faccia e Matteo debba ammettere l’errore? Semplice il faut che la Corte Costituzionale bocci a ottobre la legge elettorale perfetta che Renzi aveva battezzato “Italicum”. Allora i due, con ossequio retroattivo all’attuale inquilino del Quirinale, potrebbero riproporre una legge in tutto identica al Mattarellum”. Niente ballottaggio, M5Stelle fuori dai giochi, colleghi uninominali e una quota proporzionale per tenere in piedi i rispettivi partiti. Fatto il patto, Panebianco prevede che Berlusconi si defilerebbe dalla campagna per il No referendario, la minoranza del Pd pure e Renzi resterebbe ben saldo a Palazzo Chigi. Osservo umilmente che la differenza tra il 2016 e il 1996 è che il sistema politico italiano allora era bipolare, oggi conta almeno tre poli. Con il sì al referendum, inoltre, i poteri si concentrerebbero in un’unica camera. Il Mattarellum monocamerale potrebbe investire della responsabilità del governo una forza che abbia saputo raccogliere appena un terzo dei voti voti validi, un quinto degli aventi diritto. In Spagna Rajoy governerebbe da solo. Fuori, Ciudadanos, Psoe e Podemos. Sono marchingegni pensati per tempi ordinari. In un mondo che cambia, la protesta dilagherebbe.