Sale il conto per salvare MPS. È la prima notizia dopo il week end senza giornali e il Corriere ne fa l’apertura. Secondo la vigilanza BCE per il Monte dei Paschi serviranno almeno 8 miliardi e 800 milioni, non i 5 messi in contro da Padoan. Inoltre, dice il presidente della Bundesbank Weidmann, “I fondi (dello Stato) non possono essere usati per coprire le perdite già previste”. Questo vuol dire che i pericoli per Monte dei Paschi non sono finiti, che una parte dei “risparmiatori” potrebbe comunque essere chiamata a pagare in solido con i responsabili del fallimento, che altri pescecani del “mercato” saranno chiamati a Siena. La Stampa è d’accordo e così titola: “Non solo lo Stato per salvare Montepaschi”.
Meno voucher, multe a chi abusa. Repubblica promuove in apertura l’intenzione del governo di introdurre più vincoli e qualche sanzione per chi paga lavori quasi normali con uno strumento pensato solo per quelli del tutto occasionali e tradizionalmente in nero. Nella sua prima pagina il giornale diretto da Calabresi fa un annuncio assai ottimista (e non confermato dalla lettura degli articoli), “Lavoro si cambia”. A pagina due però precisa che si tratta solo di “mossa” del governo per “scongiurare il referendum” proposto dalla Cgil.
Stile coloniale, secondo il manifesto è quello del premier israeliano Netanyahu che ha dato il via libera alla costruzione di altre 618 case a Gerusalemme-est e ha convocato, con fare minaccioso, gli ambasciatori degli stati (e tra questi la Spagna) che il 23 dicembre hanno votato in Consiglio di sicurezza la risoluzione di condanna degli “insediamenti israeliani nei territori occupati”. La risoluzione è stata approvata perché, per la prima volta, gli Stati Uniti si sono astenuti, rinunciando a porre il veto. “Un complotto” di Obama, secondo Netanyahu, Trump gli dà corda, la Casa Bianca risponde che l’America non ha mai avallato la colonizzazione dei territori e che l’astensione è la conseguenza della sfida israeliana. “Per Bibi è un fallimento”, dice al Corriere Nahum Barnea, commentatore autorevole di Yedioth Ahronoth, “nemmeno Trump ora potrà rimediare”.
Dopo Aleppo ci sarà un’altra Aleppo, scrive Albero Negri sul Sole. Si chiama Idlib, è vicina al confine con la Turchia ed è là che stanno convergendo gli islamisti tagliagole, persino peggiori di quelli dell’Isis (lo riconosce finalmente pure Paolo Mieli) che sono stati evacuati a forza di bombe sull’ex capitale economica della Siria. Sia Negri che Mieli hanno ragione, quando scrivono che Assad non concepisce altra tregua che serva per spostare il nemico in un luogo dove colpirlo meglio domani. Iran, Turchia e soprattutto Russia – potenze che promettono di pacificare la regione – continueranno a colpire questi “ribelli”, come condizione per chiudere, poi, la partita con Daesh. Fuori gioco, i generali americani si consolano assicurando al New York Times che i bombardamenti aerei della coalizione occidentale sono efficaci e stanno dando un contributo importante alla sconfitta del Daesh.
Matteo stai sereno. Zanda dice a Repubblica che “Gentiloni avrà tempo limitato”, Orfini chiede alla Stampa “si voti al massimo entro giugno”. E per convincere i 608 deputati e senatori, eletti per la prima volta nella XVII legislatura, che perderebbero il diritto alla pensione da parlamentare se si votasse prima del 15 settembre, il Pd prepara un emendamento che consenta di restituire (ai 608) i contributi previdenziali versati, circa 50mila euro, un premio di consolazione per accettare di sciogliere le Camere anzi tempo. Insomma “stai sereno Renzi, che si vota presto e torni”. Ma il governo lavora all’affaire del Monte, sono in arrivo i rilievi di Bruxelles alla legge di stabilità, due vertici europei e un G7, le grane terrorismo (ora i giornali paventano attentati dopo l’uccisione a Milano del killer di Berlino) e immigrazione (e qui l’ottimo Buccarella spiega a Grillo come i rimpatri siano quasi impossibili da organizzare), ogni giorno che passa si smorza la voglia di votare presto.