In 215 salvati dalle macerie. Il Corriere apre con i numeri dei sopravvissuti, quelli che si è saputo salvare. “Bentornate Giorgia e Giulia”, fa eco il Giornale dando il titolo a due bambine strappate alla morte. Poi ci sono, purtroppo, le vittime: “La bella Italia sepolta dalle macerie”, come la chiama La Stampa. Nonni e nipoti, studenti emigranti tornati nei paesi. Parenti in vacanza ad agosto tra le vecchie pietre dove sentivano le radici. E le loro amiche e gli amici. C’è chi è fuggito via la notte stessa. Si fugge dal terremoto: ho incontrato a New York un capo lega, contadino sindacalista, che aveva lasciato la valle del Belice la notte stessa del sisma ed era arrivato fin lì senza mai voltarsi indietro. Chi non può partire si aggira come uno spettro: troverete sui giornali la foto notturna di un bambino tra le tende con il suo orsetto e di tre vecchi seduti su una panchina, con indosso una coperta. “Senza tregua: altre scosse e crolli nei paesi devastati”, ricorda la Repubblica. Poi, le inchieste della magistratura.
Disastro colposo, si muove la procura. “Nel mirino – scrive la Stampa – il crollo del campanile di Accumoli ristrutturato con i soldi dell’Aquila e della scuola di Amatrice”. Ma viene fuori, per merito di Repubblica, che la legge per ristrutturare gli edifici a rischio sismico non si applica alle “seconde case” e in quei comuni il 70% degli alloggi si potevano definire tali. Inoltre “un dirigente distratto, che si dimentica di inviare in tempo l’elenco dei (pochi) che hanno deciso di mettere in sicurezza la casa” ed ecco che “Amatrice perse i contributi”. Gocce di inefficienza e corruzione, speriamo perseguibili e punibili, nel mare di una incuria che nel nostro paese non è né nuova né recente.
I numeri del rischio sismico. 121 miliardi: tanto in 50 anni è costata agli italiani la ricostruzione dopo i terremoti. Ce ne sarebbero voluti 13, secondo il Fatto Quotidiano, per garantire “edifici più sicuri ed evitare la conta dei morti”. Non solo 13? Tre volte tanti, 40 miliardi? Sempre meno di un terzo di quanto i contribuenti italiani non abbiamo dovuto pagare. Senza dire che una parte di quei 121 miliardi, è finito – come sappiamo – in tangenti e malaffare. Dice al Fatto Salvatore Settis: “salvare case e vite è un valore superiore ai vincoli di bilancio”. Nessuno, almeno oggi, se la sente di dargli contro.
Il caffè salvato da Michele Prospero e da il manifesto. Non sapevo come tirarla fuori, la corrispondenza tra Voltaire e Rousseau dopo il terremoto di Lisbona. Me ne aveva fatto ricordare una cara amica, ma tentennavo. “Quel radical chic, ma cosa non si inventa pur di sparlare di chi esercita il duro mestiere del governo, manipolatore, anche un po’ sciacallo”. Per fortuna ci ha pensato Prospero: “Nell’agosto del 1756 Rousseau scrive una lettera a Voltaire che aveva pubblicato un poema sul terremoto di Lisbona. Sebbene scosso dalle macerie, il cantore della bellezza del bel secolo delle arti e delle scienze, non perde la certezza del mondano che loda la perfezione del tempo e difende l’epoca tanto criticata da mesti criticoni. Rousseau lo incalza negando che la tragedia rinvii alla metafisica, alla teologia, al fato”. Spiega Cassirer – proseguo nella citazione del pezzo di Prospero per il manifesto – Rousseau ha sottratto il problema della teodicea (che scarica sul fato o su dio la persistenza del male nel mondo) al circolo metafisico, trasponendolo al centro dell’etica e della politica”. Scrive Prospero: “Rousseau inventa la politica moderna e scorge nelle rovine di Lisbona…le tracce del crollo di una società alienata e per questo mette sotto processo le scelte pubbliche nel progetto della città”.
Da Lisbona ad Amatrice. “Se le risorse scarse – scrive Prospero – vengono promesse per il ponte dello stretto, dirottate per le grandi opere, destinate a chi compie 18 anni o regalate per le gigantesche de-contribuzioni a favore delle imprese, ciò accade per una scelta politica che non apprezza la messa in sicurezza del territorio come bene pubblico prioritario. Il sostegno delle grandi potenze dell’economia è più ricercato della manutenzione del territorio, delle città affidate a lavori che mobilitano piccole imprese, artigianato, competenze diffuse. E questo ordine rovesciato dei valori è politica, cattiva politica che governa l’Italia come un paese periferico che frana davanti alle emergenze”.