Effetto Brexit sul voto in Spagna, scrive la Stampa. Può darsi. Fatto sta che la destra liberista di Rajoy ha conquistato 600mila voti, i socialisti ne hanno persi 100mila, la coalizione di tutte le sinistre, Unidos Podemos, ha lasciato sul campo quasi un milione di elettori. E ora? Rajoy ha vinto e vuole governare. Non ha però la maggioranza perché la forza della destra rinnovata, Ciudadanos, arretra a sua volta e perde 400mila voti. I socialisti di Sanchez si consolano essendo rimasti, in barba a sondaggi ed exit poll, la seconda forza del paese, ma perdono la possibilità di formare il governo, che in primavera avevano avuto e si erano giocati male preferendo l’alleanza con Ciudadanos a quella con Podemos. Se si sommano i voti dei due partiti di destra, Pp e Ciudadanos, si arriva a 10milioni e 900mila voti. Se si sommano i voti di Unidos Podemos e del Psoe, la somma fa 10milioni e 400mila. Quanto ai seggi – in Spagna si vota con una legge che assegna i deputati in modo proporzionale ma in collegi piccoli favorendo i partiti maggiori – le destre ne hanno 169, mentre per governare ne servono 176. Socialisti e Podemos insieme – ma sarà difficile unirli -, 159. Le forze autonomiste – in maggioranza di sinistra – 24. “Confindustria spagnola, la chiesa, l’Europa, la Germania”, scrive il Corriere, chiedono la grande coalizione. Solo un cittadino su due ieri in Spagna è andato alle urne.
Nel Labour Party, la resa dei conti. Piovono pietre su Jeremy Corbyn. I ministri del governo ombra laburista si dimettono uno dopo l’altro, la destra del gruppo parlamentare, guidata da Hilary Benn, chiede le dimissioni del leader. L’accusa è di aver appoggiato poco e male il Remain. Forse per non confondersi con Cameron e con la City. Ma il retro pensiero presto detto: tanto gli operai e la vecchia sinistra non ci votano più comunque, dunque, pensano i parlamentari laburisti, che ci teniamo a fare Corbyn? Meglio provare con un nuovo new labour. Intanto i nazionalisti scozzesi sperano di poter bloccare Brexit con un voto del loro parlamento. I conservatori esitano ad affidarsi a Boris Johnson, dopo Cameron.
Renzi riparte dal disastro europeo. Il presidente del Consiglio pensa che, dopo tutto, l’effetto combinato del Brexit e della sconfitta del governo delle sinistre gli ridia spazio di manovra. É possibile. Certo, gli ridà un teatro nel quale recitare il suo ruolo, quello dell’Europa che cerca di ritrovarsi. Oggi vede Hollande e Merkel: sembra d’accordo con il primo nel chiedere che Londra esca rapidamente dall’Unione, visto che ha deciso di uscire. E, forse con Hollande, sembra intenzionato a chiedere alla Cancelliera di poter sostenere la ripresa anemica facendo nuovo debito. Chi vivrà vedrà. Quanto al referendum d’autunno e all’Italicum, la scelta è di non parlarne – se non con richiami generici alla continuità delle proprie posizioni – di non parlarne, almeno finché non si sarà chiarito lo scenario europeo. Oggi Renzi viene a riferire in Parlamento. Vedremo che effetto farà. Stefano Folli vede, con sollievo, un “riscatto a Madrid dei partiti tradizionali”. Mi pare azzardato, più un desiderio che altro. Però è vero che l’incertezza ha spinto molti elettori di sinistra a restare a casa, e che la destra arrabbiata appare non in grado di governare, finché le manca l’appoggio di settori consistenti del capitalismo finanziario. Così stando le cose, sembra esserci un po’ di tempo per ridefinire, per riaggiustare, per mettere a punto politiche, ispirate dal potere finanziario ma che tengano più conto dello scollamento tra sistema e popolo. Siamo nel tunnel.