È un giorno d’attesa e i giornali volano basso. “Battaglia su casa e sconti Irpef”, titola Repubblica. Battaglia? In realtà, per ora, solo scaramucce, manovre. La Stampa: “Niente Irpef fino a 12mila euro”. Bonfrisco, PDL, e Sangalli, Pd, hanno presentato due emendamenti che, entrambi, prevedono l’abolizione dell’imposta per chi dichiara meno di 12mila euro lordi. Costerebbe un miliardo e 800milioni e togliendo risorse per aiutare chi è in difficoltà: Fassina ha dei dubbi. Il Giornale annuncia: “Prove di tassa unica”, si dovrebbe chiamare TUC e salverebbe tutte le prime case. Il Corriere guarda al futuro: “Stretta sui capitali all’estero”. La Svizzera rinuncerà all’anonimato e Saccomanni spera di far rientrare denaro in Italia e tasse nell’erario, condonando le penalità, ma solo a chi non sia già oggetto di un accertamento fiscale.
Il Fatto se la prende con la casta. “Gli onorevoli vogliono la mancia. Ci provano tutti: migliaia di emendamenti alla legge di stabilità per far arrivare finanziamenti ai loro sostenitori”. È un bel tema. Tuttavia mi chiedo cosa possano fare di meglio e di diverso i senatori della commissione bilancio, i conti dei saldi li fa (quando li sa fare) il ministero del Tesoro. Le scelte politiche, se si debba detassare la proprietà, vendere le spiagge, inventarsi un altro condono oppure proteggere gli esodati, finanziare cassa integrazione in deroga, assistere i disabili, si giocano sul tavolo delle larghe intese e della durata del governo, in un braccio di ferro che ha come incognita la decadenza di Berlusconi. Decidono Letta, Berlusconi, Alfano.
Ecco che gli “eletti” rispondono agli “imput,” come si dice, delle categorie e dei “territori” da cui provengono. Ragusa non ha una strada decente, altri precari della scuola chiedono certezze, e poi ci sono i terremotati d’Abruzzo! Certo anche i militari, i taxisti, i farmacisti. Il senatore senza politica, risponde alle migliaia di mail, promette, emenda, poi, davanti all’obiezione che manca la copertura, trasforma in ordine del giorno con raccomandazione al governo. Intanto dà pubblicità al suo fare. Certo, così diventa terminale d’interessi particolari.
Ma in realtà è quel che vogliono tutti coloro che urlano ai talk show contro la “politica”. Quelli che propongono una realtà semplificata: siete voi i cattivi, noi i buoni. Nostri i bisogni, vostro il senso di colpa. E vi bombardiamo di mail, insulti, manifestazioni sotto casa, Funziona così la mitica “rete” per i 5 Stelle, così il “territorio” per deputati e senatori del Pd, così i gruppi di interesse organizzati per il PDL. Rompere un tale schema si potrebbe, ma affermando l’idea di un interesse comune (non dunque sempre il mio, immediato), tornando a discutere di politica insieme, cittadini e parlamentari. Smettendola di gridare solo: vergogna!
E la politica? Che fa il PDL, si spacca? Provo a immaginare un monologo. Silvio con il barboncino in braccio. “Caro Dudu, se tiro la corda e costringo Letta a porre la fiducia in Senato sulla stabilità, potrò votare contro e spiegare che questo governo non ha buone idee, né quid. Però faccio un favore ad Alfano, che si presenterà come salvatore del governo, del meglio meno che niente. Se invece accetto un compromesso, avallo un pasticcio qualunque sulla finanziaria, allora li metto in mutande quelle serpi che mi sono allevato in seno. Voglio proprio vedere le loro facce quando il Senato voterà la decadenza. Fate cacciare il vostro leader, voi complici di un omicidio politico? Però Dudu, se questi hanno la faccia come il culo e restano con Letta, che figura ci faccio? Sembrerò io lo sconfitto, costretto a cacciare dal partito chi non mi ha difeso, lo scoglio su cui naufraga l’unità dei moderati. Rompere sulle tasse o sulla decadenza? Caro Dudu, that is the question”.