Al Pantheon, una piazza consapevole e serena, non di sinistra né di destra, distante dalla politica ma non anti politica. I titoli così riassumono. “Le 98 piazze delle sveglie: noi un milione”, Corriere. “il grido delle cento piazze: dateci le unioni civili”, Stampa. “Siamo un milione, Italia svegliati”, Corriere. “L’arcobaleno ha i numeri del family day”, Fatto. “É l’ora dell’amore”, il manifesto. Consapevole e serena: sì, con giovani padri che spingono orgogliosi una carrozzina, ragazze che si muovono disinvolte in un universo solo femminile, meno giovani usciti dall’ombra, tutti sanno che nel mondo reale è già così e chiedono che questa realtà trovi posto anche nel mondo delle leggi e dei diritti. Destra e sinistra: per decenni abbiamo considerato il progresso, in particolare il progresso civile, come un fenomeno trainato dalla sinistra a cui si opponeva una destra retriva. Oggi il riconoscimento dei diritti può essere scritto – come nel caso della Corte Suprema degli Stati Uniti – da un giurista che più di destra non si potrebbe immaginare, l’italo americano Antony Scalia. L’avversario delle cento piazze non è la tradizione o lo spirito conservatore ma un virus nuovissimo, identitario e sostanzialista, che vorrebbe sottomettere il caos a una verità e a un ordine assoluti, preferibilmente rivelati. A destra c’è più gente che usa questo virus, che strumentalizza tale tentazione – vedi, sul Giornale di oggi, l’articolo del giornalista-spia Renato Farina “Ci sono unioni volute da Dio e altre volute dal diavolo”- ma lo scontro identità-diritti, civiltà-natura è piuttosto trasversale. Infine il rapporto con la politica. Nessuna delle persone con cui mi sono fermato ieri a parlare apprezza lo scontro sui termini, il ricorso al voto segreto come alibi, la paura di dire così è, ma tutti si aspettano che con la legge arrivi alla fine qualche diritto.
Gli USA preparano l’azione militare. Maurizio Molinari sceglie di aprire la Stampa con le cose dette da Biden in Turchia: “siamo pronti ad una soluzione militare contro lo Stato Islamico se governo e ribelli in Siria non raggiungeranno un’intesa politica”. É un messaggio che fa il paio con l’invio della super spia russa a Damasco – di cui vi ho parlato ieri – per spingere Assad a uscire di scena. Da parte loro gli Stati Uniti dicono a Erdogan che non è più tempo di giocare con il gruppo “stato islamico”. Quanto ai “ribelli” (tagliagole, islamisti, forse futuri terroristi) legati all’Arabia Saudita, dovranno accontentarsi di un Assad che si ritira, ma dovranno tenersi i russi, né potranno umiliare cristiani, alawiti e quel che resta dell’esercito di Damasco. A maggior ragione – inferisce il direttore della Stampa e conferma Flores D’Arcais su Repubblica – Obama non potrà permettere che Daesh controlli parte delle coste libiche: dunque si interverrà pure in Libia. Anche se, anzi tanto più se, i gruppi tribali non troveranno l’intesa. Nel 2016, prima che l’election day renda Obama un’anatra zoppa.
A proposito di elezioni americane. Federico Rampini scrive di Bloumberg “pronto a candidarsi alla Casa Bianca da indipendente”. Per spiegare ai lettori di Repubblica, Rampini aggiunge che si inserirà “fra Trump e Sanders”. Così, implicitamente, Rampini avverte che la campagna di Hilary Clinton per le primarie democratiche non somiglia a una marcia trionfale E se in Iowa – dove iscritti e sostenitori votano riuniti in assemblee, i Caucus, e non a scrutinio segreto nella cabina elettorale – la Clinton è data in testa di qualche decimale, nelle primarie del New Hampshire Sanders la sopravanza di parecchio. Qual’è il punto? Il solito: la disaffezione del ceto medio, che teme di perdere posizioni, la sfiducia nella classe politica, che appare meno autonoma e capace d’iniziativa di fronte ai decisori “automatici”, mercati, multinazionali, organizzazioni globali. Clinton, molto più di Obama, è il campione delle classi dirigenti. In teoria dovrebbe poter sbaragliare la coppia fondamentalista, estremista e sgangherata Trump-Palin. Ma gli addetti ai lavori temono che così non sia, che il voto “di centro” abbia bisogno, per imporre il suo buon senso, che il candidato anti Trump sembri meno organico al potere e alle sue logiche. Ecco che l’ex sindaco di New York, repubblicano e amato dai democratici, ricchissimo senza la fama dello squalo, pensa a coprire questo vuoto. Fra Trump e Clinton, come correttamente scrive Giuseppe Sarcina per il Corriere. E Sanders? Non so, non l’ho mai sentito di persona, ma non posso escludere che alla fine ci sorprenda.
Il mondo è sull’orlo del precipizio? Forse no, risponde Lucrezia Reichlin sul Corriere. “I periodi di alta volatilità del mercato – scrive – sono molto più frequenti delle recessioni”. La Cina vive un periodo di “riequilibrio dell’economia verso i servizi e il consumo interno”, la crescita di quel paese nel 2016 è stimata al 6,7% (e non più al 10 come negli anni passati) ma non è la fine del mondo. Semmai i rischi potrebbero venire dagli Stati Uniti – dice la Reichlin – dove dopo sei anni di crescita la recessione può essere nelle cose. E ciò danneggerebbe la più giovane (e fragile) ripresa europea. Ma soprattutto – spiega l’economista – “l’apprezzamento del dollaro, combinato a un alto indebitamento dei paesi emergenti, al calo del prezzo del petrolio e alla liberalizzazione in corso del mercato dei capitali in Cina” rende necessario “il ruolo chiave delle Banche centrali nel garantire liquidità al sistema e calmare le acque”. Draghi, pensaci tu. E il presidente della BCE ci pensa, eccome. Da questo scenario, ragionevolmente ottimista, Lucrezia fa derivare un avvertimento per il governo Renzi: “non c’è tempo da perdere. Il problema delle banche e del trattamento delle sofferenze va affrontato con rapidità e lucidità. Era una crisi annunciata. Siamo arrivati in ritardo. Restiamo vulnerabili al primo singhiozzo del mercato”. E se la crisi Usa dovesse “accorciare la ripresa europea, noi ci ritroveremmo ad affrontare un nuovo choc negativo senza esserci ancora liberati dell’eredità dell’ultima crisi, quindi con pochi strumenti per affrontare la nuova”. Cose molto simili Matteo Renzi se le sentirebbe dire da Draghi, qualora lo chiamasse. E ne sentirà l’eco il 29 gennaio, quando vedrà Angela Merkel. Il premier italiano risponderà come sta facendo da giorni: “abbiamo realizzato il cambiamento politico più straordinario di sempre”, o dirà qualcosa del futuro e delle sue intenzioni? Ah, saperlo.