Banche, la resa del Montepaschi, scrive Repubblica. E alla “resa” si è arrivati, spiega la Stampa, perché “è andato in pezzi il piano Dimon”. Jamie Dimon, capo di JPMorgan, a fine luglio è andato a Palazzo Chigi, promettendo di salvare la banca senese, insieme al fondo del Qatar, e piazzando come garanzia un suo uomo, Marco Morelli, alla guida del Monte. 5 mesi dopo a Gentiloni è toccato nazionalizzare la banca, buttando dentro 20 miliardi di denaro dei contribuenti. “Con il senno del poi – scrive Lepri – si può anche sostenere che l’intervento dello Stato fosse necessario fino dal 2013” ma ora con “un intervento tardivo è difficile che il Tesoro recuperi i suoi soldi”. Forse i quotidiani “indipendenti” farebbero bene a mettere in fila i nomi di Ministri e banchieri che hanno spergiurato “le banche italiane non corrono rischi” o che vantavano salvataggi privati. Per dire agli elettori: “non fidatevi, non votateli”. Non lo faranno: per via delle menzogne consolatorie che, anche loro, ci hanno propinato.
Telecom Mediaset, si muove il governo, titolo forte della Stampa. Dunque Gentiloni, si dà da fare e Berlusconi si sente confortato. Ma intanto Vivendi sale al 28,8% in Mediaset. Mentre l’intervento sulla Telecom, che Vivendi controlla con il 24,19% del capitale, appare tardivo: le leggi anti trust si fanno per tempo e devono valere per tutti e i pericoli di una eccessiva concentrazione non si possono denunciare solo quando il campione di casa affoga. Certo, ora c’è il rischio che il nostro sistema televisivo finisca per intero in mano a Murdoch e Bollorè. Ma qualcuno ricorda la riforma della Rai? Allora dissi in Senato che, senza un piano di rilancio dell’azienda e una fondazione che ne garantisse l’indipendenza dagli appetiti di governo, quella riforma serviva solo al premier per sedersi al tavolo con i privati favorendo l’oligopolio. In più il governo si è poi distratto inseguendo l’illusione del premier di dover prima spuntare un plebiscito, il 4 dicembre. Prevedo un flop dei difensori tardivi della italianità. Un flop completo con la perdita degli asset televisivi, o un mezzo flop, con la “famiglia” di B che incassa un lauto dividendo in cambio di una semi resa ai francesi.
Indagato Lotti, a tutta pagina sul Fatto Quotidiano. Il giornale di Travaglio ha dato ieri, per primo e da solo, la notizia dell’ipotesi di reato per “favoreggiamento e violazione del segreto istruttorio” ai danni del comandante dei carabinieri Del Sette. Era vero. Ed è vero che sono indagati il neo ministro dello sport e il comandante dei carabinieri toscani, Saltalamacchia. Tutte queste persone si sarebbero attivate per proteggere la Consip, società del Ministero dell’Economia e delle Finanze che gestisce gran parte della spesa pubblica ed è coinvolta in un’indagine per corruzione. Ora la Pinotti insorge: non lasceremo che i giudici condizionino le nomine (vuole che Del Sette resti al suo posto), ma forse Gentiloni medita di fargli fare un passo indietro. Un avviso di garanzia non vuol dire colpevolezza. Ed è ben possibile, sia detto, che Lotti e Del Sette non incorrano in conseguenze penali. Ma da questa storia, come da quella del Monte dei Paschi e del caso Mediaset Vivendi, emerge con chiarezza quale fosse la vocazione del governo Renzi: quella di proporsi come comitato d’affari che tutto controlla, tutto gestisce. A cominciare dai servizi di sicurezza, che tanta parte sono, ormai, negli affari.
Putin e Trump puntano sul nucleare. Titolo d’apertura del Financial Times. Ai funerali dell’ambasciatore russo ucciso ad Ankara, Putin aveva ventilato un rafforzamento del potenziale atomico, Trump gli ha fatto eco il giorno dopo. Due potenze che si richiudono in sé stesse. Addio disarmo. La Cina intanto – sempre dal Financial Times – “brucia gli accordi commerciali” dopo che Trump ha nominato un falco, Peter Navarro, alla guida del National Trade Council, organismo che gestisce, per gli USA, il commercio mondiale. “Angela Merkel affronta la prova più dura”, scrive invece New York Times. L’attacco terrorista nel cuore di Berlino sta scatenando la destra tedesca. Ma sono le notizie precedenti, che riguardano le scelte di Mosca, Washington e Pechino, quelle che mettono a dura prova la politica della cancelliera. La Germania e l’Europa diventano il vaso di coccio in un mondo che si ritrae da ogni tentativo di disarmo e si orienta ad alzare muri e imporre dazi. Senza una revisione radicale e coraggiosa della sua politica, l’Europa a guida tedesca non sopravviverà.
Fedeli e Poletti. Entrambi – scrive Stefano Folli per Repubbblica – si occupano sfortunatamente dei settori chiave che interessano l’avvenire dei giovani: la scuola, l’università, il lavoro. Valeria Fedeli non poteva esordire a Viale Trastevere in modo peggiore, per via del curriculum aggiustato, fino alla scoperta che oltre alla laurea mancava anche un diploma di maturità. Quanto a Poletti, l’ex presidente della Lega Coop proiettato al dicastero del Lavoro può anche puntare i piedi e rifiutare di dimettersi: la verità è che sul piano mediatico egli è ormai piombo nelle ali del Presidente del Consiglio, nel momento in cui questi cerca faticosamente di sollevarsi da terra. E si capisce perché. A parte la sfortunata gaffe sui giovani di talento emigrati, c’è la scoperta del figlio quarantenne che gestisce un minuscolo settimanale cooperativo romagnolo a cui, attraverso i fondi pubblici, sono stati riconosciuti 500mila euro in un triennio”. Oltretutto il caso Poletti contrasta con quello Lupi, che fu invitato da Renzi a dimettersi. Ma Cuperlo, intervistato oggi da Repubblica, non ne chiede l’allontanamento anche se – o forse proprio perché – sembra dare un giudizio senza appello del suo partito: “Non c’è anima né programma, senza congresso il Pd è morto”.