“Volevo uccidere i politici”. “Spari e paura nel giorno del governo”. Se i due grandi quotidiani, Repubblica e Corriere, titolano così, Il Giornale trova un gioco di parole per attribuire la responsabilità dell’accaduto: “Il grilletto”. “Chi le spara e chi spara. Dopo mesi di irresponsabile campagna d’odio da parte di Grillo….”. Sì, sono sciacalli, questi amici dei nostri alleati di governo. Lo sottolinea Il Fatto: “Gli sciacalli subito all’opera”
Innanzitutto solidarietà e affetto al brigadiere Giuseppe Giangrande, che è nato a Monreale, vive a Prato con una ragazza di 24 anni, la figlia Marina, ha perso la moglie 4 mesi fa, era in trasferta a Roma, per servizio e, forse, per arrotondare lo stipendio. Colpito da un proiettile al collo, è stato operato per 3 ore. Preoccupa una lesione al midollo.
Lo sparatore, che voleva uccidere “i politici” e per questo è andato a Palazzo Chigi (evidentemente non sapeva che i ministri giurano al Quirinale), ha mirato alla testa e alle gambe per far male, evitando il giubbotto anti proiettili. Disperato per la crisi? Misuriamo le parole. Umiliato, per la perdita dell’impiego, era il bracciante Giuseppe Burgarella, che si è tolto la vita a Trapani, tenendo tra le mani quella Carta Fondamentale che salda dignità della persona e lavoro.
Giuseppe Preiti, da Rosarno, che a 50 anni non compiuti si sente già “finito”, gioca e scommette, la moglie l’ha lasciato e torna dalla madre. A lei pare abbia chiesto qualche euro, ha preso la sua pistola, comprata al mercato nero anni fa, se ne è venuto in treno a Roma, piccolo hotel del centro, e con indosso giacca e cravatta è andato a sparare. Cercando così di riprendersi un posto non nella realtà ma nella rappresentazione del reale. E ci è riuscito: per un po’ tutti parleremo di lui. Il consumatore, frustrato, si offre al consumo. Molto americano. E folle, non è sbagliato dirlo.
Il simbolo, tuttavia, è evidente. Ieri qualche rete televisiva, per non farsi mancare niente, ha diviso in due lo schermo. Da una parte i ministri che giuravano ignari e sorridenti. Dall’altra i corpi per terra, il sangue sul collo di Giangrande, il ghigno di Preiti, subito immobilizzato dai nostri bravissimi carabinieri. Secondo me è lampante. Non se ne esce con misure di sicurezza né con scorte né chiudendo la zona rossa intorno ai Palazzi. Se ne esce solo con la buona politica. Con il confronto, stando fra la gente. Un bravo, dunque, a Emma Bonino e Enzo Moavero Milanesi, ministri che, appresa la notizia, sono andati a piedi dal Quirinale a Palazzo Chigi.
Giannelli sul Corriere disegna un Enrico Letta che sembra De Gasperi, in croce dentro lo scudo democristiano. “18 aprile 1948 – 28 aprile 2013. Maggioranza assoluta. “La rivincita dei democristiani”, titola Il Foglio. Moriremo, dunque, democristiani, si chiedeva il grande Luigi Pintor? Moriremo berlusconiani, fa eco Ilvo Diamanti su Repubblica. La tesi è semplice e non molto originale: Berlusconi “ha perso le elezioni ma ha vinto il dopo elezioni”. Perché Bersani “non ha vinto..ma ha cercato di agire da vincitore”. Insomma, colpa del segretario Pd, della sua fola di un governo per il “cambiamento”, dell’umiliante giro di valzer con Crimi e Lombardo.
Non sono d’accordo. Diamanti sottovaluta quanto i talk show e la legge porcata abbiano cambiato la costituzione materiale dei vecchi partiti. I 101 del Pd che hanno tradito Prodi nell’anonimato somigliano ormai come gocce d’acqua ai ministri del PDL. Questi dicono “mi consenta”, gli altri “con viva e vibrante” ma, insieme, si sentono casta, si arroccano “nel palazzo”, come luogo della politica contro “la piazza”, che lasciano ai demagoghi.
La colpa di Bersani è di aver voluto rompere l’incantesimo e non esserci riuscito. Poi, da funzionarrio fedele, tra franchi tiratori e pressioni dal Colle, ha rimesso il carro dove voleva il padrone. Nelle mani del governo Letta – Alfano.
Mal di pancia? Io proprio non ne ho. Di un governo (per l’emergenza) c’è bisogno. Nello schema (sbagliato) Pd – PDL, il compromesso trovato da Letta non è il peggiore. E posso votare la fiducia. Anche se molti elettori mi ricordano, a ragione, come in campagna elettorale tutti dicessimo: mai con Berlusconi. Posso votare, ma a condizione che il Pd non esaurisca la sua politica nel sostegno a questo governo. A condizione che non rinunci a cercare il bandolo del suo suicidio. Al confronto nei gruppi parlamentari e con gli elettori. Magari a tornare a dire “qualcosa di sinistra”. Se no, di un altro Berlusconiano di complemento, proprio non se ne sente il bisogno.
“Il governo frutto dell’insuccesso Pd” dice oggi Fabrizio Barca a Cazzullo, Corriere della sera. Ha ragione. “Richiamerei il partito alla terribile responsabilità assunta da chi ha affossato Prodi”. Inevitabile. Poi apre a Renzi, leader che “con il sorriso, senza retorica, guardando avanti….crede di potercela fare”. Tutto qui. Barca, Renzi, Rodotà, che ieri ha rilasciato una bellissima intervista a Fazio. Si può fare? Se no, ognuno per la sua strada.