È un giorno difficile, non ci giro intorno. Di cosa parlerò: dell’apertura del Papa alle donne diacono, o del porta a porta con Renzi che annacqua l’intenzione di fare del referendum un plebiscito e si vanta di aver portato a casa le unioni civili? Della chiesa che riflette sulla opportunità di dire sì alle modifiche costituzionali oppure dell’ultimo avviso di garanzia a un sindaco a 5 stelle? Potrei buttare la palla in angolo e, come i bravi giornalisti, nascondermi dietro un lungo elenco di titoli, senza dire troppo, senza rischiare nulla.
Brasile-Italia. Per comprendere il sentimento che si diffonde nel Belpaese è forse utile guardare alla vicenda di Dilma Roussef, presidente sospesa dalle sue funzioni che ieri si è detta vittima di “un colpo di stato”. Così scrive El Pais. Era stata rieletta due anni fa, erede di Lula e di una stagione che sembrava avere trasformato il Brasile in un grande protagonista dell’economia mondiale. Però la musica stava cambiando: la Cina si ripiegava su se stessa, pensando alle proprie infrastrutture e guardando al mercato interno invece che continuare a produrre a basso costo per il mondo intero, il crollo del prezzo del petrolio e delle materie prime colpiva duramente i paesi, come il Brasile, più ricchi di risorse. In breve: -3,8% l’anno scorso il PIL brasiliano, con la disoccupazione che aumenta e si capisce che non si potranno esaudire le attese di enormi masse inurbate che premono sulla soglia della civiltà e del consumo. Dilma non ha visto il tetto che le crollava addosso, ha truccato i dati – lo fanno in molti – per riottenere fiducia e ha continuato a puntare sulla spesa pubblica. Così il Brasile ha avuto recessione e inflazione. Piccoli e grandi borghesi si sono sentiti traditi, la popolarità della Roussef è scesa dal 62 al 9%, sono partite le inchieste per corruzione e “una banda di ladri” – definizione del New York Times – cioè parlamentari la cui corruzione non è presunta, come per Dilma e Lula – ma certificata – l’hanno prima accusata, poi deposta.
Nessun dorma. Il rischio crollo – di un paese, di un continente- quando nel mondo in pochi istanti si spostano miliardi di dollari, quando i produttori producono petrolio anche se il prezzo cade sempre più in basso, le crisi bruciano quelle che sembravano solide conquiste, le banche finanziano i mercati e i mercati le bolle speculative, che si gonfiano e poi scoppiano, il rischio crollo diventa un incubo quotidiano con cui convivere. E allora quieta non movere, dicevano i latini, viene voglia di puntellare la casa, di sminuire, di sopire e relativizzare.
Questione morale? L’esposto di un senatore del Pd, Giorgio Paglari, porta all’avviso di garanzia per abuso d’ufficio contro il sindaco a 5 Stelle di Parma, Pizzarotti. Avrebbe nominato i vertici del Teatro Regio senza tutti i crismi. Il Pd esulta: siete pessimi, moralisti con gli altri, omertosi con voi stessi. I 5 Stelle reagiscono, volano gli insulti. Ma così il rumore copre i fatti. Di che si parla? Di corruzione, di furto, o di errori amministrativi? Incapacità o dolo o semplice controllo di legalità, del quale sarebbe meglio attendere l’esito. Intanto Fassina rischia di non poter concorrere alle amministrative di Roma perché nei moduli per la raccolta delle firme manca la data che attesta l’inizio di detta raccolta. A Milano radicali e 5 Stelle sostengono che Sala (il “manager” di Renzi) sarebbe incandidabile perché avrebbe continuato a firmare atti Expo anche dopo le sue dimissioni per andare a fare il sindaco. Sala risponde: “solo fango”. In parlamento si annuncia un nuovo voto di fiducia, questa volta sulla prescrizione. Perché un compromesso, con fiducia, è peggio che una buona legge (dopo un duro confronto) ma è meglio che nessuna legge. Proprio come è accaduto con le unioni civili. E il cattolico Alfano ora dice “niente referendum” e anche la chiesa pare sia perplessa: protesta ma si accontenta di aver evitato il peggio, cioè le adozioni, cioè il matrimonio gay.
Costituzione. “Ho giurato sulla carta non sul vangelo”, dice Renzi da Vespa, per vantarsi delle unioni civili e dimostrare di essere – lui sì – “di sinistra”. Ma anche per suggerire il suo amore per la Carta Fondamentale, che le sue modifiche alla costituzione non stravolgerebbero. State tranquilli. E c’è chi vuole credergli. In effetti, se prese una ad una – senato depotenziato, regioni con meno poteri, elezione del presidente della repubblica che potrebbe durare mesi, troppi procedimenti legislativi ma meno diarie da pagare, una sola camera ma pur sempre una camera – che sarà mai sta riforma? Non è mica una dittatura. Civiltà cattolica, rivista dei gesuiti, vicina alla segreteria vaticana, sembra orientarsi per un Sì critico. Repubblica esulta. Quieta non movere. Se guardi solo oltralpe, alla Francia, vedi il casino che può scoppiare. Ieri per due firme mancanti – ne hanno raccolto 46 ne servivano 48 – non è stata messa in votazione una seconda mozione di sfiducia – questa di sinistra – al governo Hollande. Il nuovo Code du Travail è talmente pasticciato che non piace né alla CGT (la CGIL francese) né – pare – al MEDEF (la loro Confindustria), manifestazioni in piazza. Il ministro delle finanze, Macron, si vuole candidare contro Hollande proclamando di non essere “né di destra né di sinistra”. I repubblicani non sanno scegliere tra Juppè e Sarkozy, diversissimi fra loro. E poi c’è il Fronte. Capite, che casino? In fondo l’Italia è stabile. Si continua a non votare o dopo il voto (del 2013) si governa in senso opposto a quel che si era promesso. Si continua a evitare il peggio, rinunciando al meglio, ponendo la questione di fiducia a ogni piè sospinto. Alla fine si voterà, ma solo per il sindaco, per il governatore e per il premier. In fondo l’Italia non è esplosa come il Brasile di Dilma, non sembra prossima a implodere come la Francia di Hollande. Chi si accontenta…
Diacono o servitore. Può servire la messa, svolgere funzioni amministrative alle dipendenze del vescovo. È, la figura del diacono, il primo grado dell’ordine sacerdotale? Forse così è stato nella chiesa dei primordi. Poi se n’è perduta la memoria. Ieri il Papa, rispondendo alla sollecitazione di una monaca, ha proposto che una commissione studi la possibilità di accogliere diaconi donne, cioè diaconesse. Una figura di cui si parla nei vangeli e che esisteva certamente nei primi secoli dell’era cristiana. Dare alle donne più peso, senza rompere con il tabù del sacerdozio maschile e del celibato ecclesiale. Tutti capiscono che il Papa gesuita, che ha preso il nome di Francesco, si auspica che le donne credenti sappiano meglio curare le ferite della sua ditta. E i giornali scrivono di un suo piccolo gesto, deducendone una rivoluzionaria apertura. Sì, diaconesse ma senza andare troppo in là, unioni ma senza adozioni del figlio del partner, avvisi di garanzia a tutti e colpevole nessuno, prescrizione più lunga ma con molti processi che saranno ancora prescritti, e fiducia, fiducia ci vuole, cambiamo la costituzione sperando che la legge elettorale non chiuda il cerchio trasformando la forma parlamentare del governo in premierato assoluto. C’è l’Italia che si accontenta, per paura di crollare come il Brasile o di implodere come la Francia rischia. E c’è chi gode.