Ho votato a favore dell’emendamento Finocchiaro perché, comunque, inserisce il principio di un Senato che sia composto “in conformità alle scelte espresse degli elettori”. Si tratta di un compromesso, come ha detto Federico Fornaro, i compromessi si fanno, talvolta sono necessari.
Tuttavia, così com’è, l’articolo 2 risulta contraddittorio. Infatti il comma 2 dice che i consigli regionali “eleggono, con metodo proporzionale, i senatori al loro interno”. E allora che vuol dire “in conformità alle scelte degli elettori”? Dopotutto anche i consiglieri sono stati eletti e dunque quella frase magica può anche significare soltanto che il Consiglio Regionale sceglie, come vuole, al suo interno. Cancellando la chimera della elezione diretta.
Ma il punto è un altro. Questo compromesso, pasticciato, ha reso possibile una ritrovata unità nel Pd. E questa novità sarebbe la garanzia per un proficuo, futuro, sforzo riformatore.
Io però dico che il compromesso è stato consumato fuori da questa aula e dalla commissione competente. Tagliando completamente fuori, dopo tante belle parole, tutte le opposizioni. Con un Presidente del Consiglio che ha fatto fuoco e fiamme. Arrivando financo a minacciare elezioni anticipate – scelta che non è nelle sue facoltà -, che ha usato al “taxi Verdini”, come arma di pressione sulla sua minoranza, che ha raccontato alla pubblica opinione – e lo farà ancora in occasione del referendum – che solo lui vuole le riforme mentre gli altri “perdono tempo per non perdere la poltrona”.
Un vero compromesso sarebbe potuto forse arrivare se quest’aula avesse dato un segnale, con un voto che mandasse in minoranza il governo e lo costringesse a trattare alla luce del sole e nelle sedi deputate. Smettendola di cambiare posizioni fingendo di non averle cambiate. Pratica non degna della costituzione e che è però sotto i nostri occhi. Ricordo alla ministra Boschi che prima voleva in Senato Presidenti di Regione e i sindaci metropolitani, poi senatori nominati dai partiti regionali, ora senatori eletti, ma non si sa come.
Così il rischio, lo dico a Fornaro e a Chiti, è che la resa del Senato già anticipi la riforma che il governo in realtà vuole, ovvero l’introduzione di fatto di un premierato assoluto, con il Parlamento che per 5 anni può solo ratificare le scelte fatte dall’esecutivo
In dissenso voterò no all’articolo 2.