Alea iacta est, pare abbia detto Giulio Cesare. La decisione è presa. Già da un paio di giorni, distribuendo volantini per il No tra la gente ai mercato, avevo avuto la sensazione che gli italiani avessero ben deciso tra Sì e No. E che oggi depositeranno nell’urna un voto soppesato. Stasera toccherà a noi, che abbiamo fatto campagna, prendere atto del giudizio popolare e tener conto delle ragioni di chi avrà votato No ma anche di chi avrà scelto il Sì.
Credo, pronto a essere smentito e a correggermi, che molti giovani diranno No alla narrazione ottimista del governo, che non trova riscontro nella loro vita quotidiana (non lavoro o precario, certezza che non potranno usufruire di consumi privati nella misura in cui ne hanno goduto i genitori). Ragazze e ragazzi che non capiscono, inoltre, perché accanirsi con la Costituzione, che loro considerano l’eredità migliore ricevuta in dono dai nonni (o dai bisnonni) che hanno combattuto dittatura e guerra e hanno onorato questo loro paese.
Molti over 50, pensionati e intellettuali, rivoluzionari e riformisti, diranno invece Sì. Riconoscendo gli errori della riforma, ammettendo che Renzi ha fatto errori gravi, e per qualcuno gravissimi, ma sostenendo che non possano bastare valori ormai ingialliti, né si possano restaurare leader che hanno fallito, temendo la babele dei linguaggi del No e ritenendo che si debba concedere ancora una chance al tentativo di ricambio generazionale.
Una maggioranza di operai, piccoli commercianti, meridionali arrabbiati, voterà probabilmente No. Perché convinta che le riforme non diano da mangiare, che le tasse restino alte, che i ricchi diventino più ricchi e gli evasori restino impuniti. Questo popolo si sente ogni giorno più lontano dalle élites politiche, imprenditoriali e finanziarie. Considera casta non solo le vecchie macchiette senatoriali, in testa Razzi e Scilipoti, ma anche i nuovi governanti e la borghesia urbana che gli sta intorno. Il cambiamento gli pare ammuina!
D’altra parte imprenditori, anche piccoli, professionisti, borghesi cittadini voteranno in maggioranza Sì. Sperando in tal modo di evitare il peggio, di fermare il Trump che avanza. Costoro non vogliono confondersi con il parlar becero di un Salvini e sono intimoriti (o delusi) dalla demagogia di Grillo e delle liti tra le fazioni dei 5 Stelle.
È un’Italia spaccata, quella che oggi va a votare. E mentre trovo solo ragioni per dire No: dal merito della riforma all’insostenibile vacuità delle intenzioni del Renzi, al rischio di autoritarismo insito nel contrapporre governo e rappresentanza, allo stesso tempo capisco che bisognerebbe farsi carico anche di molte preoccupazioni di chi oggi dirà Sì.
Sono trascorsi 30 mesi da quel 25 maggio 2014, quando Renzi, con le sue capolista tutte giovani donne, stravinse le elezioni europee e ottenne il 40,08% dei voti espressi. Sembrò allora che la parabola dei 5 Stelle volgesse al declino, che la neo sinistra renziana avesse catturato tante ragioni della destra berlusconiana, che il Pd stesse per diventare l’asso pigliatutto, la Democrazia Cristiana del XXI secolo, senza più un PCI a fargli da argine.
E da quella sbornia il premier segretario non si è più ripreso. La notte in cui il suo partito perdeva le elezioni in Veneto, ma anche in Liguria, rischiava di perdere l’Umbria e si affermava in Campania e Puglia, ma grazie a mattatori, De Luca e Emiliano, per ragioni diverse non riconducibili al rinnovamento, Renzi pensò bene di mostrarsi in Tv mentre giocava con Orfini e la play station. Un modo per scaricare sul Pd, e non prenderla in conto, quella prima sconfitta. Un anno dopo il Pd ha perso Roma, Torino, Napoli, tenendo solo Milano. Ancora Renzi ha sostenuto di non essere stato sconfitto e ha promesso di rinnovellare nel voto referendario la vittoria di quel 25 maggio di due anni prima.
In realtà la novità è invecchiata, la speranza si è trasformata in delusione, la pancia del paese si è divisa tra rabbia e paura. Scrivo da tempo, in modo spietato ma veritiero, che Matteo Renzi ha già perso la sua scommessa. Ma nessuno ha vinto. Non Grillo, che deve fare i conti con gli abbagli della ditta Casaleggio e le fazioni in cui tendono a dividersi i suoi “ragazzi”. Non Salvini, diminuito dall’overdose di televisione che gli è toccata nella qualità di anti Renzi populista di destra. Nè Berlusconi, senza delfini e sempre più stanco. Meno che meno ha vinto la sinistra, se ancora esiste una sinistra. Perché davanti alla crisi del capitalismo e all’emergere dello scontro tra due destre, essa rischia di apparire come qualcosa di ormai vecchio, che vive di rendita, sia nella versione riformista che movimentista.
Secondo me abbiamo sprecato questi 30 mesi. Certo, sono contento di aver ritrovato, nei comitati del No tanti che avevano dismesso la passione politica e si erano ritirati sotto la tenda. Certo, posso sperare che alcuni dei giovani per il No possano presto prendere in mano le ragioni di una sinistra e il futuro del paese. Però, da domani Nessun dorma! Nessuno prosegua a raccontare al vento cosa crede di essere (ecologista, pacifista, femminista, partigiano dei diritti) ma dica invece cosa propone. Nessuno si crogioli nella certezza che Renzi sia nel torto, come Berlusconi era nel torto. E che chi lo combatte abbia perciò ragione.
Si sono esauriti due secoli di positivismo. Volge al termine la lunga pace che l’occidente ha vissuto all’ombra della super potenza americana. Una grande rivoluzione scientifica è probabilmente in corso. E sono possibili cose fino a ieri impensabili, grazie ai miliardi di dati che si organizzano in qualche istante. Ma la coscienza di sé di questo nostro mondo, cioè l’ideologia, la cultura dominante, la rappresentazione che ne danno giornali e intellettuali, è rimasta al palo, non si è rinnovata. Soffre di agorafobia: ha paura del troppo spazio a disposizione. Non godiamo troppo della sconfitta di Hillary, di François, di Matteo. Perché è possibile, ma non probabile, che altri si mostrino all’altezza della sfida.