I killer seguaci del califfo. Il marchio dell’Isis sulla strage. É la notizia principale sui giornali di oggi. Lupi solitari, America colpita. E siccome siamo in America, tour nella casa dell’americano che si è andato a trovare una moglie, pakistana come lui, in Arabia Saudita. In quella casa lei allattava il figlio mentre sul web cercava contatti col califfo, lui fabbricava bombe artigianali, non contento delle armi da guerra che comprava al mercato. Poi si sono levati a comando e si sono messi a sparare. Ok, leggiamo. Anche l’immancabile citazione di Hanna Arendt e della Banalità del male. Però Farhad Khosrokhavar l’aveva scritto all’indomani del 13 dicembre (e io lo avevo citato su questo blog). “Un kamikaze non si radicalizza da solo. Vengono in generale da famiglie divise, spesso sono passati dal carcere, tappa importante nel percorso della radicalizzazione, si tratta di born again, musulmani che hanno riscoperto l’islam nella forma più radicale o convertiti alla ricerca di un senso per la loro vita. Infine il viaggio iniziatico nella terra di jihad, che permette al futuro kamikaze di divenire straniero alla sua stessa famiglia e di acquisire la crudeltà necessaria per il passaggio all’atto senza sensi di colpa né rimorsi”.
L’ISTAT dice che la crescita non supererà lo 0,7. Il Censis parla di un’Italia “di mezze classi, mezzi partiti, mezzi uomini”. Insomma, un male italiano frena la ripresa; nonostante l’inarrestabile crollo del prezzo delle materie prime, l’immissione continua di denaro ad opera della BCE, la svalutazione dell’euro sul dollaro. Da un banchetto Pd di Rignano, suo paese natale, Renzi proverà a dire che non è vero, che “Italia non è in letargo” (Corriere) ma che anzi la bella addormentata si sta svegliando grazie alle riforme proposte dal governo e approvate dal parlamento, che i giudizi dell’Europa e dei banchieri sono ora lusinghieri, che basta avere “coraggio” e ce la faremo. É probabile che codesti argomenti, per un italiano che riusciranno a motivare, ne spingeranno altri due a gufare apertamente e a votare per i 5 stelle o per la destra. Perché, come scrive Guido Crainz su Repubblica, Renzi “non è riuscito a ridare slancio all’economia e alla società per l’assenza di un progetto generale, di un’idea di futuro capace di radicarsi nel corpo vivo del Paese. Per una enfatizzazione della decisione di vertice, a partire dall’azione di governo, che non ha saputo costruire una vera “catena di comando. Né penetrare nelle pieghe reali della società”.
Siamo un popolo di navigatori a vista, scrive Marco Revelli per il manifesto. “3,1 milioni di famiglie hanno dovuto intaccare i risparmi pregressi” per tirare avanti; 10 milioni e mezzo di famiglie, che hanno comunque “risparmiato qualcosa, se lo tengono lì, disponibile, a scopo cautelativo, per finanziare la formazione dei figli, per i bisogni della vecchiaia, per paura di perdere il posto di lavoro”. Quasi otto milioni di italiani “si sono indebitati o hanno chiesto un aiuto economico per far fronte a spese sanitarie private” ma come osserva Dario Di Vico commentando il rapporto del Censis, una maggioranza di italiani è favorevole alla riduzione delle tasse, comunque, anche a costo di contrarre il welfare. Insomma, pochi soldi, maledetti e subito, nella convinzione che gran parte della spesa pubblica finisca in corruzione. Per i giovani -torno a Revelli- “il quadro si fa nerissimo, con quasi due milioni e mezzo di scoraggiati e tre milioni e mezzo di sottoccupati e di part-time involontari. Tutto ciò porta a un “appassimento della fiducia nell’azione comune”.
Ce ne facciamo una ragione o scommettiamo sul futuro? Giovanni Orsina scrive per la Stampa: “le opinioni pubbliche democratiche sono affette da una sorta di ritardo psicologico, a motivo del quale si pensano ancora nel ventesimo secolo e non smettono di chiedere alla politica soluzioni ambiziose come quelle, appunto, che hanno caratterizzato il Novecento”. Da qui “i populismi”, che sarebbero alla fine “nostalgia della politica”. Secondo Orsina, dovremmo farcene una ragione: la politica è ormai lo spazio per lucrare qualche decimale di crescita (o di gloria), nelle strettoie concesse dalle scelte che altri, mercati, commissione europea, BCE fanno per noi. Ne consegue che il governo debba concentrare su se stesso ogni margine di manovra per ottenere, se non consenso almeno stabilità, concedendo bonus ora agli uni ora agli altri. Revelli è più ottimista o, se preferite, visionario. Coglie sotto traccia “un’energia misteriosa, una ibridazione, rete lenticolare di saperi e di mestieri, l’iniziativa di una molteplicità di atomi laboriosi che coniugano qualità, saper fare artigiano, estetica brand”. Tracce di un possibile collettivo del futuro.
Per intercettare queste tracce del futuro, bisogna rottamare falsa coscienza, prosopopea della sinistra, politicamente corretto. Perciò, da siciliano, dico che Vecchioni, con il suo “Sicilia di m..” ama la mia isola e vorrebbe riscattarla. Chi invece sbava parlando di Sicilia benda spesso si invita a pranzo nei club che l’hanno umiliata e la opprimono. Dico che trovo legittimo -e persino normale- che talune femministe insorgano contro l’utero in affitto; ma la nostra vergogna è che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha riconosciuto che ci sono nuove forme di famiglia e ha sancito che lo Stato non può cancellarle. Noi esitiamo a varare una modesta legge sulle “unioni civili” perché pretendiamo che due uomini (o due donne) non debbano crescere un figlio e che mai il rapporto fra di loro possa essere detto matrimonio.