La guerra di Aleppo e Sirte. Repubblica ha scoperto la doppia guerra (per procura) cui avevo dedicato il caffè del 10. La rappresentazione che ne offre è fondata, nella cronaca dei fatti, ma è, secondo il mio parere, assai discutibile. “Tra i fantasmi di Aleppo”. Fantasmi sono i civili sotto assedio delle truppe di Assad e sotto le bombe russe, i medici e i paramedici legati ai “ribelli” e per questo privi di diritti internazionali, dunque presi di mira. L’assedio – scrive Repubblica – è stato rotto in un punto “con la sola arma di cui disponeva la rivolta: i kamikaze”. Vero? Tutto vero. “Sirte liberata”, ecco l’altro titolo. Per contrapposizione ai “fantasmi di Aleppo” suona come un respiro di sollievo. Il pericolo scampato, gli ultimi cecchini scappati verso il mare dal bunker di Ouagadougou (per questo l’allarme nei nostri porti?). Il buon Serraj, grazie all’appoggio americano, un po’ più forte nei confronti dell’infido Haftar, che sbarra la strada dell’unificazione del paese. Vero, anche questo. Ma la verità (della cronaca) si può discutere, anzi si deve confrontarla con quel che è successo prima e chiedersi quali scenari si apriranno dopo. È il lavoro dell’informazione, per impedire che i fatti siano mobili “qual piuma al vento”, e che la storia si faccia alla fine come vuole il più forte, il più determinato, che non è per forza sempre il più giusto.
L’ottimismo per la liberazione di Sirte va temperato. Per la Casa Bianca è, certo, un successo: la vittoria toglie un argomento a Trump contro Clinton (ritenuta “responsabile” della morte dell’ambasciatore americano nell’assalto del consolato a Bengasi). E il Pentagono segnala ad Haftar di essere in partita più dei suoi protettori egiziani e francesi. Per noi invece, che siamo a un tiro di schioppo dalla Libia, il problema è spuntare una parziale pacificazione del paese. Quel che basta per lasciar lavorare l’Eni, per non farci dirottare tutti i migranti, e non veder prosperare basi terroriste accanto a casa. Insomma, potremmo cantare vittoria solo quando si fosse raggiunto un accordo plausibile tra le fazioni libiche sotto il controllo (diretto, sul campo, di un organismo internazionale). Condizioni che non si vedono, mentre è assai probabile che sia gli USA sia Serraj ci chiederanno presto di inviare più uomini in Libia.
Il macellaio Assad è tornato il nemico. Viva! Se l’Europa avesse appoggiato le primavere arabe, forse non sarebbe più al suo posto. Ma c’è. Se gli Stati Uniti avessero mostrato ai sauditi e agli emirati la faccia feroce – più con l’arma dell’economia, della politica e dei diritti che con la forza delle armi – forse Putin non sarebbe divenuto deus ex machina della crisi mediorientale. Ma lo è diventato. E allora, noi? Gioiamo perché l’assedio di Aleppo è stato (parzialmente) rotto “con la sola arma di cui disponeva la rivolta: i kamikaze”? Mi chiedo se non sia la stessa arma usata contro i ragazzi del Bataclan. Nel nobile intento di salvare i bambini di Aleppo dall’agonia della fame e della sete e dalla paura delle bombe, ci alleniamo con salafiti e wahhabiti, che predicano la morte e aborriscono la (nostra) vita? Ah ma c’è un fantasma che ritorna: “Aleppo come Sarajevo?” titola il Corriere. Anche nei Balcani abbiamo ignorato l’evidenza che la disgregazione dell’ex Jugoslavia (favorita dalla Germania e da Giovanni Paolo II) avrebbe provocato conflitti terribili e disastri umanitari. Poi, infine, abbiamo deciso si aprire gli occhi, di combattere il nemico serbo, amico dell’arci nemico russo, accettando la jihad come alleato. Sapete quanti miliziani neri partono dal Kosovo? Per salvare i bambini di Aleppo, proverei ad usare le 3 ore di tregua al giorno (concesse dai russi) per paracadutare medicine, acqua, viveri. Non mi alleerei con Al Nusra.
Ma forse il vento sta cambiando. Forse c’è un senso nell’apparente disparità delle notizie che incontriamo sui giornali e che ci bombardano dalla televisione. “Mosca riapre il caso Crimea”, scrive la La Stampa. Ora vuole “punire i sabotatori ucraini”. Kiev, da parte sua, chiede aiuto alla Nato, dice di temere l’invasione e di essere pronta alla guerra. “Bombe su Raqqa e Aleppo, così il Cremlino guida la partita”, scrive la Stampa. Ecco la soluzione: torniamo a fare la voce grossa con la Russia in Ucraina, facciamo intendere a Erdogan che gli daremo quel che vuole (mai uno stato curdo, Gülen estradato dall’America e un paio di “colonnelli golpisti” dall’Italia), ma a condizione che non salti il fosso alleandosi con Mosca, facciamo intendere all’Arabia Saudita che sopporteremo il suo Islam wahhabita oscurantista se proverà a dirottare i kamikaze contro gli sciiti, gli yazidi, i curdi, facendocene grazia. Se faremo questo per salvare il salvabile, io dico che perderemo di nuovo l’anima. Subiremo nuovi attentati, scivoleremo di nuovo dalla parte del torto e, forse, finiremo in guerra.