BREXIT è fatta. I giornali in edicola lo ignorano, confortati da sondaggi sbagliati, ma una maggioranza di cittadini britannici ha votato per abbandonare l’Europa. Per il Leave il 51,89% degli elettori, per il Remain il 48,11. La Manica si trasforma da ponte che era in muro d’acqua. La City piange per gli affari perduti. La borsa di Tokio, che lavora quando da noi è notte, lascia 8 punti. Molti londinesi corrono a cambiare sterline con dollari o con euro. La moneta britannica è già ora ai minimi degli ultimi 31 anni. “We are out”, dice Nigel Farage e parla di “Independence Day”, ma gli indipendentisti scozzesi rispondono “il nostro futuro è nella UE”, Sinn Fein chiede già un referendum che permetta all’Irlanda del Nord di lasciare il Regno Unito per unirsi all’Irlanda. Obama cerca Cameron, cancellerie europee in subbuglio, Marine Le Pen chiede il referendum anche in Francia. Renzi rinvia la direzione del Pd.
Ha un senso tutto ciò? Purtroppo ha un senso. Gli inglesi erano entrati nell’Unione di malavoglia, con un piede dentro per lucrare soltanto i vantaggi di un’area di libero mercato e un altro fuori, nessuno gli aveva detto che la storia era cambiata e che anche loro dovevano tornare al punto d’inizio, prima della battaglia di Bouvines e della Magna Carta Libertatum, alle radici comuni dei popoli dell’isola e del continente. Francia e Germania sembrarono più avanti, quella volta davanti alle croci dei morti di Verdun quando Helmuth Kohl e François Mitterrand si tennero per mano, ma poi si ripiegarono nella cura di interessi nazionali, soprattutto interessi della Germania, che ha risolto, in pace e con l’euro, la ferita che l’ha portata a iniziare due guerre mondiali nel secolo scorso: l’essere il primo produttore del continente ma non avere a disposizione abbastanza liquidità. E tuttavia neanche i tedeschi ammettono i vantaggi dell’Euro e dell’Unione. Al contrario si lamentano, come Kohl rimproverava di lagnarsi ai turisti che dalla Germania, che partivano – disse – felici verso il mare e le città d’arte italiane, ma poi tornavano di cattivo umore perché l’Italia non è tedesca.
Colpa dell’immigrazione? Certo. La mondializzazione e la scia avvelenata delle guerre imperialiste hanno mosso un esodo dal Medio Oriente e dall’Africa vero l’Europa. Ma la Gran Bretagna conviveva con flussi non meno rilevanti da paesi lontani, dal Pakistan all’India, un tempo sudditi di sua maestà. Quello che inquieta i Farage è l’immigrazione di cittadini con pari diritti, di europei, studenti, ricercatori, imprenditori di se stessi. Ciò che rende nervosi gli elettori di destra in Francia, in Austria, in Olanda, più che il nero che arriva è la rimozione della domanda su cosa debba essere Europa, se un blocco continentale, Europa dei barbari divenuti cristiani nel Medioevo che, gioco forza, dovette ritirarsi dal Mediterraneo, o se l’Europa Mediterranea, con dentro Atene e la Grecia, Roma e l’Italia, Madrid e la Spagna. Un’Europa quest’ultima che non può non darsi una politica per l’Africa e per il Medio Oriente. L’immigrazione ha fatto solo precipitare la reazione chimica, mostrando viltà e scarsa capacità di prevedere da parte delle classi dirigenti nazionali ed europee.
E ora? Grandi turbolenze nei mercati, perché chi può cercherà di avvantaggiarsi della crisi. Speculando al ribasso sulla sterlina, ma anche vendendo titoli del debito – lo spread risale -, cercando di attrarre altrove una parte di fondi che muovevano dalla City. Dopo la febbre alta, euro banchieri ed euro politici prenderanno a dire che la separazione tra Gran Bretagna e quel che resta dell’Europa sarà comunque lunga, che durante il processo si potranno riscrivere le basi della convivenza europea. Dopodiché, chissà, magari la Gran Bretagna, alla fine, rinuncerà a uscire. Faranno come gli struzzi, temo, metteranno la testa sotto la sabbia, proveranno a contenere i danni. Come sempre. Ma se si passa alla società, cioè ai comportamenti e al sentire di milioni di uomini, ogni paese si allontanerà dal vicino e in ogni paese sarà più a rischio l’unità interna. La Scozia e l’Irlanda del Nord si separeranno dall’Inghilterra. La Catalogna dalla Spagna, la provincia francese da Parigi, la Napoli di De Magistris si allontanerà dalla Milano di Sala. Al contrario servirebbe uno scatto in avanti. Pretendere subito una vera Europa, solidale e democratica, che ristrutturi il debito greco e induca i tedeschi a comprare di più, che vari a tempo di record un piano europeo per il lavoro giovanile e per la ricerca. Che combatta le guerre in Medio Oriente, nonché i paesi che le provocano, e appresti un piano Marshall per l’Africa. “Follie, delirio vano è questo”, direbbe la Violetta di Verdi e di Piave. Molto, molto più folle è proseguire con i tatticismi delle attuali classi dirigenti, con gli ammiccamenti insinceri alle opinioni nazionali. Non mi piace fare il catastrofista, ma l’attuale crisi dell’Europa, esorcizzata e alla fine subita, ricorda la disintegrazione degli imperi che accese la prima guerra mondiale aprendo il Secolo Breve.