Addio Senato, Repubblica. “Sì alla nuova Costituzione”, Corriere. “Renzi, il paese è con me. Guiderò la campagna elettorale”, Stampa. 361 sì su 630 deputati. La Camera ha approvato, in via definitiva, la riforma costituzionale. Le opposizioni fuori dall’aula o, come si dice, sull’Aventino. É un passo avanti per il paese? No, con questa riforma si fanno due passi indietro. La Costituzione del ‘48 era chiara, comprensibile a qualsiasi ragazzo di terza media. I 47 articoli riscritti sono un guazzabuglio, idee confuse espresse peggio: leggete e inorridite. Non si cambia la forma del governo, che resta parlamentare. Ma, con una sola camera e la nuova legge elettorale, si sceglierà direttamente il premier, attribuendogli nel ballottaggio il premio di maggioranza (340 deputati su 630). Il premierato c’è, di fatto e quindi senza contrappesi. Il presidente della Repubblica perde il potere di nomina del presidente del consiglio e persino quello di sciogliere la camera, la cui maggioranza non sarà più autonoma dal premier che l’ha costituita. La stessa elezione – quando sarà – del Capo dello Stato resterà appesa alla capacità del premier di ottenere il sì da una parte delle opposizioni: per questo lavoro egli non avrà limiti di tempo (come in Grecia dove, dopo tre votazioni con maggioranza qualificata andate a vuoto, il parlamento si scioglie automaticamente e si torna a votare), dunque il premier potrà tenere vacante il Quirinale finché non avrà trovato gli oppositori “volenterosi” che servono. Lo stesso accadrà – ma in verità già accade – per la nomina dei giudici costituzionali. Il Senato rimarrà e si chiamerà “delle autonomie”, ma il potere legislativo delle regioni sarà drasticamente ridotto. Autonomie accolte a Roma e private dei poteri. I cento senatori saranno scelti dai consigli regionali ma indicati dagli elettori al momento del voto: non chiedetemi cosa significhi. In verità penso che Maria Elena Boschi e Anna Finocchiaro, Matteo Renzi e Giorgio Napolitano saranno ricordati come coloro che hanno sfasciato la costituzione per interessi di parte, arroganza, delirio di onnipotenza, dilettantismo e vanagloria. A loro discolpa, la lunga crisi istituzionale. il declino della prima repubblica e il fallimento della seconda. Ma il rimedio è peggiore del male.
Balbettii, rimozioni, opportunismi. Enrico Letta, da Parigi, ci fa sapere che voterà a favore di questa riforma, nel referendum d’autunno. Perché a suo parere non è perfetta ma si doveva fare, perché votare sì non vorrebbe dire votare per Renzi. Al contrario di quel che Renzi dirà e già dice. Così il rottamato si consegna di nuovo nella mani del rottamatore. A meno che un colpo di stato dei poteri che si vorrebbero forti (Unione Europea-BCE, Bankitalia- Confindustria) non gli riconsegni la campanella che l’altro gli aveva strappato di mano: dal rottamatore al continuatore. La minoranza Pd, fa sapere da parte sua che dopo il referendum si dovrà cambiare l’Italicum – lo ha scritto pure Folli, per non correre il rischio di consegnare il governo a un uomo dei 5 Stelle votato nel ballottaggio pure dagli elettori della Lega. Vi immaginate un Renzi – Cincinnato che, vinto il Referendum, fa un passo indietro? Io no. Così come credo che né Speranza né Rossi e nemmeno Emiliano vinceranno mai il congresso del Pd, qualora si svolgesse prima delle elezioni nel 2017. La vecchia base si è ritirata sotto la tenda, la nuova chiede un posto al sole: a Renzi, non alla “minoranza”.
E i 5 stelle? Morto Casaleggio (un Savonarola che aveva decretato la fine della democrazia rappresentativa e dei partiti, in nome della consultazione in rete e di un movimento che agisca poi come individuo collettivo, dunque senza alcuna autonomia di mandato) i portavoce dei cittadini saranno ora costretti a entrare nell’età adulta. Impegnarsi davvero nella battaglia referendaria contro la riforma costituzionale deforme? Oppure, vivacchiare sugli errori del governo, lucrare consensi grazie alle spacconate del Renzi, per presentarsi, zitti zitti, al voto con l’Italicum e sperare che l’umore nero degli elettori gli consegni palazzo Chigi? Iacopo Iacoboni scrive sulla Stampa che molto dipenderà dall’intesa tra l’erede, Davide Casaleggio, e il delfino, Luigi Di Maio. Grillo, a quanto si capisce dai resoconti sul suo triste viaggio in treno per salutare l’amico, sarebbe intenzionato a dare una mano al Movimento, almeno fino al voto delle politiche, ma si sente solo. E si capisce.
E la sinistra? In un editoriale per il prossimo numero di Left ho citato una serie televisiva, The 100. C’è chi vuol dire la verità amara ai sopravvissuti sull’Arca e chi gliela vuole nascondere, perché teme panico e disordini. La sinistra è quella che cerca la verità e la dice. La follia della diciassettesima legislatura è che gli elettori avevano chiesto di cambiar strada, “un gobierno del cambio”, direbbero in Spagna. Invece hanno avuto due governi in piena continuità con l’era neo liberista, berlusconiana, del comodo trasfert che attribuisce l’incapacità di governare ai laccioli costituzionali. Colpa del solipsismo dei 5 Stelle, del fallimento di Bersani, dei poteri forti che hanno imposto Letta e poi accolto Renzi? Fate voi. Certo quell’epoca – con la conseguente sospensione della democrazia parlamentare, dato che si sono fatte cose per le quali non si era stati votati – ora volge al termine. La sinistra dovrebbe far saltare il banco, smettere piccoli interessi elettorali, finanziarsi con una campagna di massa, chiedendo pochi euro a milioni di persone, e rifiutare di ritagliarsi una nicchia tra il partito della nazione (di Renzi e della Boschi) e il movimento della nazione (senza più Casaleggio). Saprà far questo Sinistra Italiana? E torneranno a battersi taluni che, a giusto titolo schifati, si sono ritirati dalla politica? So che io continuerò a battermi. É il mio karma.