Un ristorante a Dacca in Bangladesh, attacco dei terroristi islamici, blitz delle truppe speciali, uccisi i 5 attentatori: ora tocca contare le vittime tra i turisti. Seduti là c’erano anche degli italiani. La nostra estate sarà così e pure le altre, per i prossimi anni. L’area della frustrazione islamica, nella quale questi wahabiti assassini possono reclutare, è immensa: tenerla sotto controllo è come voler svuotare il mare con un cucchiaino da caffè. Possiamo fare tre cose. Chiudere la partita col Daesh in Siria e in Iraq: l’obiettivo prioritario di questi fanatici è mettere radici in Medio Oriente, nei luoghi storici dell’Islam. Senza quelle basi, senza presunti stati islamici da vantare e nei quali accogliere, per un viaggio iniziatico, i futuri kamikaze, i loro veleni si diffonderanno con difficoltà. La seconda è dialogare, come fa il Papa. Ogni musulmano deve poter pensare che il settario (con mitra, cintura esplosiva e corano) sia in realtà un suo nemico, e che, invece, il confronto tra le religioni (e le culture) monoteiste, tra l’oriente e l’occidente possa essere fecondo. Terzo, dobbiamo abituarci al rischio: sul piano statistico queste stragi sulle spiagge, nei bar e negli aeroporti aumentano il rischio per noi viaggiatori in modo non rilevante. Puoi incontrare la banda sbagliata in Messico, salire sul pullman il cui unico autista avrà un colpo di sonno, prenderti un proiettile al Bataclan. I rischi per le nostre vite non sono così aumentati dopo l’11 settembre, la percezione del rischio e la paura, invece sì. A chi mi dice di evitare Istanbul, ricordo che l’Italia nel 1980, con la strage di Ustica e con quella di Bologna, non era un luogo più sicuro.
Matteo Renzi, no Tav. Bravo il nostro giovane premier, ha imparato qualcosa dallo schiaffone preso a Torino. Ha messo a tacere i pasdaran dei grandi lavori e ha modificato il percorso della Torino Lione: “la «nuova» Tav sarà più corta e dall’impatto ambientale più sostenibile”, scrive la Stampa, “e costerà 2,6 miliardi in meno”. “Sfida ai grillini”, come insinua il giornale torinese? Direi, semplice “riduzione del danno”, ma è meglio che niente.
Confindustria per il Sì. Il nuovo presidente degli industriali scende in campo a fianco di Renzi e Boschi. Se vincesse il No – si legge in un documento con slide e tabelle – “c’è il rischio di caos politico e recessione”. 4 punti di PIL in meno nei prossimi tre anni, 600mila posti di lavoro persi, più 430mila poveri, deficit al 4% nel 2018 e debito pubblico italiano che passa dal 131,9% del PIL al 144%. Una catastrofe. Tutto perché Confindustria ritiene che dopo l’attuale governo non ce ne sarà un altro, oppure ce ne sarà uno a 5 Stelle, movimento che, come il pifferaio magico, ci strapperà figli e futuro. Balle sesquipedali. La Spagna è da 6 mesi senza governo ed è in piedi come l’Italia. Un esecutivo dopo Renzi si farebbe subito, per cambiare la legge elettorale, per gestire la transizione economica e poi andare al voto. Nella nuova legislatura si approverebbe rapidamente una buona riforma costituzionale, perché i punti di convergenza tra destra, sinistra e 5 Stelle sono ormai chiarissimi e tutti sarebbero ben felici di riformare, una volta tolto dal tavolo il ricatto giacobino del premier. Infine, solo con la legge detta l’Italicum, che sarebbe cancellata dalla vittoria dei No, i 5 Stelle avrebbero, a oggi, l’opportunità di governare da soli. Con il No vincerebbero confronto e buona politica. Che poi Confindustria se ne faccia campione, non mi sembra una buona notizia per il Sì.
In Austria si rifarà il ballottaggio per eleggere il presidente. Così ha deciso la Corte Costituzionale che ha trovato irregolarità nelle elezioni. Questa volta vincerà il candidato dell’estrema destra, Hofer, che era stato battuto a sorpresa e per un soffio dal verde Van der Bellen? Il Vaticano, scrive Massimo Franco, teme che Brexit trovi seguaci nei paesi dell’est europeo. Parliamoci chiaro: i governi quasi fascisti di Ungheria e Polonia temono la Russia più degli immigrati: immaginano di ricattare l’Europa scommettendo che la Nato gli offrirà una protezione militare più forte e aggressiva. Se fossi in Renzi, in Hollande, in Angela Merkel, io li metterei sotto esame per la violazione dei diritti e delle libertà fondamentali a casa loro. Contemporaneamente chiederei agli Stati Uniti di smettere i toni di guerra fredda con la Russia di Putin, che va sfidata con le armi della libertà e dell’innovazione economica, non circondata da una nuova cortina di missili. Quanto all’Austria, essa è – lo è da tempo – un satellite della Germania: la destra austriaca si batte dicendo la verità agli elettori tedeschi, cioè che loro hanno guadagnato più di tutti grazie all’Euro e all’Europa e che Berlino non può ripetere il sogno del Reich di Hitler, non solo perché è folle, ma perché la Germania è oggi un nano militare, rispetto alla Russia, economico rispetto alla Cina e politico, senza l’Europa.