Un termine per il premier, “Massimo due mandati”. Ancora lui! Quasi ogni giorno è Renzi a dettare il titolo d’apertura dei giornali. L’attrazione fatale che esercita sul sistema mediatico dà la cifra del suo indubbio successo, ma anche della continua sensazione di precarietà che questo successo induce nella pubblica opinione, legato com’è a continue promesse, ad annunci, a polemiche contro i gufi di turno, a rassicurazioni che non rassicurano del tutto. Può essere allora utile raccontare in che contesto il premier abbia fatto la promessa odierna: “non più di due mandati”. Alla festa di Repubblica Scalfari lo aveva sfidato: “sono per l’abolizione del Senato, ma voto No al referendum perché la legge elettorale così com’è ti rende padrone del campo”. Renzi gli ha risposto che la legge elettorale non l’ha scritta lui, o almeno non completamente, che il ballottaggio però serve per evitare l’inciucio, che lui non mira a una lunga dittatura personale, infatti è favorevole al limite dei due mandati. Così dicendo, tuttavia, ha confessato quello che poco dopo ha provato a negare, e cioè che la forma del governo non sarà più, se vinceranno i Sì al referendum, parlamentare ma diventerà presidenziale, o meglio, che andremo verso una democrazia del premier, una forma di premierato assoluto. A cosa servirebbe, altrimenti, porre un limite al mandato di chi governa come si fa in Francia e negli Stati Uniti?
Per fortuna Salvini non tocca palla, ma toccano palla i 5 stelle, gli aveva detto, poco prima, Eugenio Scalfari. Renzi ha risposto con la sua analisi del voto: “se provo a mettere insieme i voti nazionali dico che in questo momento a livello nazionale il ballottaggio sarebbe tra Pd e centrodestra”. Il sistema resterebbe dunque bipolare, Pd contro destra (comunque voglia chiamarsi), il successo dei 5 Stelle sarebbe locale e non nazionale. Consiglio al premier di leggere l’intervista alla Stampa del presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino. “A Torino rischia di formarsi una grande alleanza trasversale che va dai centri sociali a Borghezio fino a Rosso: tutti contro Fassino e a favore di Appendino. In prospettiva, tutti contro Renzi”. Gli consiglio di meditare sulla commemorazione di Berlinguer fatta da Virginia Raggi, che ha così contestato, a Giachetti e al Pd ,un’eredità divenuta scomoda. Insomma il Partito di Renzi, o della Nazione, sta creando un Anti Partito di Renzi, un’altra forma di Partito della Nazione. Voglio dire che i 5 Stelle, giocando di rimessa, rischiano di prendere tutto ai ballottaggi, in particolare a quello previsto dall’Italicum. Renzi se ne rende conto e perciò sente il bisogno di rassicurare la sua retroscenista Maria Teresa Meli: “Se riusciamo a vincere a Milano – le dice – possiamo stare tranquilli”. A Milano, nella sfida fra centro-sinistra e centro-destra, manager contro manager. Osservo, tuttavia, che Sala ha probabilmente già fatto il pieno dei voti con il 41,69%. Mentre Parisi può forse ancora grattare qualcosa, tra i 5 stelle che odiano Renzi, e gli astenuti della destra, i quali potrebbero tornare alle urne anche spinti dell’emozione per la malattia di Berlusconi.
Brexit. Sul Corriere troverete un articolo di Ferruccio De Bortoli. Bello perché racconta molto bene. Anche se, evitando – forse per restare alla cronaca – di usare l’analisi del passato per disegnare gli scenari del futuro, finisce – secondo me – con lo spiegare poco. C’è un nesso – vorrei chiedere a De Bortoli – tra lo slogan di Donald Trump, “America first” e “l’ineffabile” Boris Johnson, che grida “Brexit” per non ritrovarsi – dice – in un’Europa a guida “nazional socialista”? Sì, c’è! Le destre, americana e britannica, guardano al passato imperiale come antidoto alla globalizzazione, la quale favorirebbe la Germania, grande produttore, la Cina, che conquista persino i fondi di investimento, il sud del mondo, sia ispanico che musulmano, che preme alle frontiere. La verità è che non siamo mai usciti dalla crisi del 2007. Che la Lunga Recessione e la Stagnazione Secolare spaventano piccoli imprenditori, risparmiatori al dettaglio, ex operai più di quanto la Grande Crisi del 29 non abbia spaventato i loro antenati. Che la sinistra – chiamiamola così – non ha da contrapporre né il sogno della rivoluzione che Stalin prometteva, né il New Deal con cui Roosevelt cambiò l’America. L’unica occasione per la sinistra di non appiattirsi sul potere è venuta con Occupy Wall Street e gli indignados. Ma per troppo e sciocco realismo i leader delle Terze Vie, americana ed europea, hanno rifiutato di coglierla, bollando quei movimenti come anti politica e populismi.