Sergio Mattarella non trovava la telecamera, la sua lettura televisiva, volutamente dimessa, quasi mai è risultata efficace. Tuttavia, dop aver accennato ai dati che sembrano indicare il camino della ripresa, Il Presidente ha parlato di donne e di uomini. “Giovani che hanno studiato, che posseggono talenti e capacità” ma non trovano lavoro. “Quarantenni e cinquantenni, che il lavoro lo hanno perduto”. E di altri uomini “che evadono al fisco 122 miliardi di euro, il 7% del PIL”. Se pagassero la metà di quel che dovrebbero – ha detto il Presidente – “si potrebbero creare oltre 300mila posti di lavoro”.
Ha parlato di “donne, uomini e bambini” che attraversano il mare, e talvolta vi muoiono, “alla ricerca di un futuro migliore”. Ha ricordato “lavoratrici e lavoratori a cui affidiamo spesso quel che abbiamo di più caro: i nostri bambini, i nostri anziani, le nostre case”. Ha voluto apprezzare il migrante che “lavora onestamente e con impegno, contribuisce al nostro benessere e contribuisce anche al nostro sistema previdenziale, versando alle casse dello Stato più di quanto ne riceva”. Ma ha avvertito che “chi delinque va punito e chi è pericoloso va espulso”.
Ha parlato di chi corrompe e si fa corrompere, delle mafie e dello scempio del territorio, del problema dell’ambiente “che a molti e a lungo è apparso soltanto teorico, oggi si rivela concreto e centrale”, ha parlato “di chi ruba, di chi inquina, di chi sfrutta, di chi in nome del profitto calpesta i diritti più elementari, come accade purtroppo spesso dove si trascura la sicurezza e la salute dei lavoratori”. Il suo racconto della società nazionale, pur senza mai una critica esplicita, mi è parso molto diverso da quello proposto da Renzi nella conferenza di fine anno. E il titolo che più condivido sui giornali on line stamani è quello della Stampa – auguri a Maurizio Molinari che da oggi firma il giornale – “Nel primo discorso di fine anno Mattarella invita la politica a fare i conti con la realtà”.
Un sondaggio Demos commentato da Diamanti spiegava ieri che Renzi è il più amato e il più odiato dagli italiani: un 19% lo considera “il migliore”, un 25% “il peggiore”. Il 57% non si aspetta un granché dal 2016, il 41% è più ottimista. Metà degli intervistati vorrebbe una democrazia senza partiti, quasi un’altra metà crede che questo non sia possibile. “Il paese – scrive Diamanti – si divide tra gufi e tifosi ma senza più appartenenze né ideologie”. Può voler dire – lo spero – che sta crescendo la consapevolezza della realtà, sia tra i tifosi che tra i gufi.
L’anno che viene può essere una pietra miliare nelle nostre storie. Sapremo se Daesh sarà sconfitto in Siria e in Iraq e/o se riuscirà a colpire di nuovo la nostra vita e le nostre libertà con la ferocia del 13 novembre. Vedremo, con le elezioni amministrative, che tipo di dialettica centro-territori si svilupperà dopo la riduzione della democrazia all’elezione di figure apicali e monocratiche (premier, governatore, sindaco) . E sapremo se gli Italiani plebisciteranno Matteo Renzi nel referendum di ottobre, magari ritenendo – come pensa un’amica – che “confusionismo e mancanza di un’idea generale siano sempre meglio dell’immobilismo”. Aggiungo che nel 2016 si sciogliereanno, o diventeranno inestricabili, alcuni dei nodi che legano l’Europa: dalla questione della autonomie in Spagna, alle condizioni capestro di Londra per restare, ai fascismi in Polonia e Ungheria. Buon 2016!