Giorno di terrore a Monaco. Pare avesse 18 anni. Sparava dal tetto mirando prima ai bambini e ha fatto almeno 10 vittime. Gridava “sono tedesco”, qualcuno gli avrebbe risposto “fatti curare”. “Odio i turchi”, dunque è “razzista”, della “destra estremista”. No, ha urlato “Allah è grande” (dunque islamista?). Corriere e Stampa pubblicano la foto di un calvo barbuto e di una bella ragazza che puntano il mitra: poliziotti bavaresi. Repubblica mostra un gruppo di donne, le mani sulla testa, che si allontana dalla scena del massacro. “La Germania cambierà”, assicura Giovanni Di Lorenzo, direttore di Die Zeit, a cui ogni giornalista ricorre perché, come dice il nome, parla italiano, è italiano, anche se convinto che i tedeschi siano diversi, e dunque reagiranno alla tedesca. Fine partita per la Merkel, statista dorotea che tutto cercava di sopire, dall’allarme migranti alla sfida del dittatore e liberticida Erdogan? Sì, è possibile che tutto cambi, che una maggioranza di elettori leghi in un unico fascio il terrorismo, pianificato o estemporaneo, l’emigrazione e la lampante debolezza delle élites. C’è alternativa? Ci sarebbe stata, ci sarebbe, se le forze politiche maggiori, di destra e di sinistra, non avessero stolidamente rassicurato dove non c’era da rassicurar : sulle conseguenze della crisi economica e delle disuguaglianze, sul tonfo delle alleanze occidentali e la gravità della guerra civile in medio oriente. Il populismo consolatorio (di Merkel, Cameron, Renzi) nutre il populismo vendicativo. Ci colpiscono? Noi bavaresi, lepenisti, leghisti ci vendicheremo.
Dark Trump vola nei sondaggi. Ha descritto a tinte fosche un’America di pessimo umore. Ha calcato la mano sulla crisi del ceto medio, ha speculato sulla paura del musulmano, del messicano e del nero che spara sulla polizia. Con me, ha tuonato, law and order (non meno armi in giro, più reclusi in carcere e più esecuzioni capitali). Ma ha promesso aiuti agli ex operai bianchi ora camerieri, più lavoro per i giovani neri, diritti per “i nostri LGBT”, protezione per risparmi, imprese e commerci americani. E chi se ne importa dei trattati sul libero commercio, che fino ad oggi l’America ha imposto al mondo intero. E poi il comune nemico: le élites. Per definizione ingannatrici, incapaci, colpevoli di disprezzarci e di aver fatto morire tanti “nostri” figli. Fa parte delle élites, è stata scelta dalle élites Hillary Clinton. First lady e consigliera del presidente Clinton dal 1993, segretario di stato del presidente uscente. Rappresenta la continuità del potere: perciò è responsabile di ogni errore. Ma non sa incantare le platee con l’eloquenza del marito Bill, né ha il feeling dell’ultimo presidente Barak Obama. Donna, per di più gelida e adusa al potere. Mentre i trumpiani, come tanti consumasti americani maschi e femmine, sognano donne procaci, coi tacchi a spillo, mogli (di miliardari) o etere per qualche centinaio di dollari. Fino a ieri la Clinton si esibiva a porte chiuse per le Corporation paganti (quali segreti, dietro?), fino a ieri confondeva tra mail di stato e private (quale arroganza!) , da segretario di stato ha lasciato morire l’ambasciatore e il personale americano in Libia (andrebbe “fucilata”, ha urlato un fascista a Cleveland). Fra un paio di giorni Bernie Sanders sarà sul palco accanto a lei a Philadelphia. Dio salvi Hillary! Dalle notizie che arrivano, da se stessa, da chi l’ha scelta.
Torino batte Roma 29 a 4, scrive il Corriere. E giù le foto, in stile concorso di bellezza con fascia tricolore, fra Chiara e Virginia sindache a 5 stelle. Sotto si racconta di Paola (Taverna, nome omen) che avrebbe sentenziato: “La Raggi? Prima cade meglio è”. Donne e rosicano. Voi amici giornalisti, voi lettori, voi parlamentari del politicamente corretto non vi accorgete di quanto siate conformisti e, in fondo, bugiardi? Avete spiato dalla serratura le performance del vecchio Silvio, frugato nelle lenzuola del giovane Matteo, mi avete insultato quando ho accennato alla dipendenza (politica e psicologica) di un presunto maschio alpha da una donna bella e determinata, ma ora scommettete sul disastro delle giovani sindache. E le raccontate che si spennano come galline. Per fortuna c’è la doppia preferenza, di genere!
Lotti versus Renzi. Alla festa dell’unità di Prato l’eminenza grigia del premier, quello che è stato mandato in Senato a contare le pecore (i senatori) e a sostituire in questo la Boschi, in più alte faccende – le riforme costituzionali – affaccendata, ha detto che il Pd sembra lontano dalla gente…“Basta dividerci o ci porteranno via tutti”. Avrà voluto chiedere la testa dei vice, di Guerini e della Serracchiani? “Serve una guida vera”, fa eco il catto-renziano Tonini. Intanto il voto per il referendum slitta a fine novembre. Niente paura – interviene la solita Maria Teresa Meli – è “la strategia del sommergibile”, adottata dallo stratega supremo. Prevede “la scelta di restare in silenzio anche sull’Italicum”. Sperando che entro fine anno qualcosa cambi, che la ruota torni a girare, che il vento gonfi di nuovo le vele del renzismo. Purtroppo il debito pubblico è ripreso a salire, ora è al 135% del PIL. La ripresa non porta lavoro per i giovani né più consumi del ceto medio, mentre bonus, sgravi e mance fanno crescere la montagna di miliardi di debiti su cui siano seduti. Irrigidendo – previsione assai facile – i nostri sorveglianti tedeschi. Ci tocca pensare al dopo Renzi. Anche se nessuno brilla.