Irrilevanza della politica italiana. Complice la Pasqua, le cose italiane e in particolare quelle della politica, sono scomparse dalle prime pagine. Il Corriere ha due titoli forti: “pasticcio belga”, sulle indagini dopo il massacro, “lo sdegno del Papa”, dopo la strage di pasqua in Pakistan. Poi un articolo di Dragosei su Mosca (leggi Putin), che monitora i giornali a seconda di quanto critichino la Russia, e uno di “società” sugli “scandali nel quadrante dei quartieri borghesi cresciuti con il sogno dei Parioli”. Repubblica apre con il Belgio, “liberato il terzo uomo” e ricorda che uno dei kamikaze era passato “da Venezia” . Foto e pezzo che inizia in prima, per una analisi sulle primarie USA: “Io la bomba e la Nato, il mondo secondo Trump”. Renzi viene relegato “di spalla”, con Rampini che scrive del suo prossimo viaggio in America, ma del lato affari, “la corsa negli USA del nostro hi-tech”, non degli incontri “politici” dai quali – e lo capisco – non ci si aspetta granché. Direte: proprio tu che in questo blog insisti sulle notizie dal mondo spesso a dispetto delle prime pagine, ora ti lamenti che i grandi giornali sembrano volersi sprovincializzare? E già, perché c’è notizia se l’uomo morde il cane, se le prime pagine non somigliano a quelle che eravamo abituati a trovare. Stefano Folli la vede così: “il dibattito politico continua a essere di una modestia straordinaria. Il Pd si affida in tutto e per tutto al suo premier-segretario. Spetta a lui tenere la scena e sbrogliare le matasse. Dal terrorismo in Europa alla crisi nel Mediterraneo, il contributo di idee del partito di maggioranza relativa è quasi nullo. Per cui il cosiddetto “partito del premier” è già realtà.
É finita l’anomalia, l’Italia è normalizzata e i giornali devono trovarsi altri e diversi lei-motiv? La notizia sarebbe qui. Ed ecco che dal suo studio parigino Renzo Piano racconta al Corriere come – da 30 anni – lui vorrebbe le periferie e, solo per inciso, ci informa che voterà sì – con Renzi – al referendum sul Senato. Ecco che un vice segretario del Pd elogia Prodi che voterà no al referendum del 17 aprile, cioè a favore delle trivelle in nome della ricerca e dello sviluppo, mentre Repubblica ci fa sapere (per fortuna solo a pagina 12) che Bersani andrà a votare il 17 ma non ci dice per cosa: “forse è tentato dal sì”. Non c’è proprio da emozionarsi, ne convengo. Per quanto mi riguarda sono molto contento di aver pubblicato su Left in edicola un bel parere di Nadia Urbinati che offre, del fenomeno in specie, una chiave di lettura: “La sinistra non interessa più. Il suo declino non fa notizia”. Non fa notizia persino dove dà segni di vita: Sanders ha vinto in 15 stati contro i 20 nei quali ha prevalso la Clinton. In Gran Bretagna i conservatori e ultra liberisti al governo sentono il morso dell’opposizione, guidata da Jeremy Corbyn, e si propongono di aumentare almeno il salario minimo, sia pure nel contesto di lavori ultra precari (articolo sul Financial Times). Non fa notizia – ma guarda che strano? – neppure la Spagna dove Sanchez, segretario PSOE e premier incaricato, per superare difficoltà interne al partito – l’andalusa Diaz gli contesta la poltrona – prova a rinviare il congresso e si tiene stretta l’alleanza con i rinnovatori della destra di Ciudadanos, sperando di piegare la resistenza di Podemos e intanto aprendo una crisi seria in quel movimento, ora diviso tra la linea di Iglesias – sì al governo ma senza Ciudadanos – e quella del numero 2 Errejón, che accusa Iglesias di usare toni troppo aspri coi socialisti. Che noia, troppo complicato! Può darsi, anzi sì, è vero. É tutto poco comprensibile se si resta attaccati a parametri, a chiavi di lettura e strumenti di analisi che hanno fatto il loro tempo.
Crisi o ripresa, vi ricordate quanto se ne è parlato? Bene sia il Sole sia Financial Times esultano oggi per il toro in borsa – il toro è simbolo della crescita – che ha fatto recuperare in poche sedute “la metà di quello che si era perso”. Mentre New York Times critica i capi del Partito Repubblicano per aver trascurato gli elettori della middle class, sempre più in difficoltà economiche e in ambasce culturali, finendo per regalarli a Donal Trump. Purtroppo non è la crisi che, non ancora superata, crea angoscia e disagio, è il modello della ripresa che fa paura, che rende le nostre società sempre più inuguali e quindi meno democratiche, se consideriamo la democrazia solo lusso legato all’emergere e alla buona salute delle classi intermedie. Essenzialmente i giornali stanno tutti dalla parte degli apparati, della tecnocrazia che cerca di gestire – come meglio sa – ma partendo dall’assioma che un altro mondo non sia possibile. Lo sapete, penso che questo atteggiamento delle elites (politiche, intellettuali, giornalistiche) non sia né realista né intelligente. É un modo di rimuovere le trasformazioni in atto. E tuttavia la verità si fa strada, sia pure a pezzi. Ormai molti sanno come dietro la predicazione radicale della Jihad del terrore ci sia l’Arabia Saudita. Sanno che il più feroce nemico dei curdi – che sono i nemici del Daesh – è Erdogan, con il quale l’Europa continua a far baratti e ad accettarne il ricatto. Ma anche in Pakistan massacri e stragi, che c’entra il Pakistan, quella sarà la prova del conflitto di civiltà, dell’odio per i cristiani? Più o meno Pakistan significa “paese dei puri”, puri islamici poiché il paese nacque dalla divisione etnico-religiosa dell’impero coloniale britannico, l’India agli Hindù e i musulmani in Pakistan. Perché negli anni 8o’ quel genio di Donald Regan – in realtà la sua amministrazione – trasformò il Pakistan in un rifugio per combattenti jihadisti (tra loro, bin Laden) contro l’armata sovietica in Afganistan. E i servizi segreti, l’ISI, divennero burattinai dei talebani. Il mostro ora è fuori controllo, minaccia il paese, i cristiani sono l’anello debole.