I fratelli Occhionero. Giulio, laureato in ingegneria nucleare, un’inclinazione naturale per la matematica e per la massoneria (avrebbe detto: “sarò il Licio Gelli del futuro”), pasticcione negli affari e perciò condannato a tre anni per bancarotta fraudolenta, che traffica in Italia ma risiede a Londra. Francesca Maria, americana di Medford ma laureata in chimica alla Sapienza, maratoneta, e arrampicatrice (non in senso metaforico, pare si sia materialmente arrampicata sui grattacieli di Dubai), che parla l’arabo e frequenta feste e circoli sportivi pieni di Vip e aspiranti tali. Chi sono costoro e perché dovremmo temerli? Un’inchiesta giudiziaria, a cui ha collaborato l’FBI, accusa Giulio e Francesca Maria si essersi introdotti nei computer, o nei telefoni portatili, di uomini politici e banchieri. Per catturare mail, sms, informazioni ed edificare quello che il Corriere oggi chiama “L’archivio segreto delle spie”. “Così spiavano Renzi e Draghi”, titola invece Repubblica. E “il giallo”, di cui parla la Stampa, è legato ai nomi del possibile clienti, di chi ha commissionato i loro servizi o ha acquistato le informazioni che offrivano. Insomma, per chi spiavano? Secondo Bisignani, dietro gli Occhionero si nasconderebbero “servizi stranieri” . Per Fiorenza Sarzanini, sarebbe a rischio la sicurezza dello stato. “Perché per almeno due anni Occhionero e sua sorella hanno potuto leggere e copiare le comunicazioni riservate del Presidente del Consiglio, senza che scattasse alcun allarme. E negli ultimi quattro anni hanno captato i file dei vertici di forze dell’ordine, servizi segreti, Bankitalia, di parlamentari e manager di Stato senza che nessuno se ne accorgesse”.
Come Mario Chiesa? Mi chiedo se l’arresto degli Occhionero non provocherà una slavina, come avvenne 25 anni fa quando beccarono Chiesa, il “mariolo” secondo Craxi, il quale invece si rivelò la punta di un immenso iceberg legato al finanziamento illecito ai partiti. Vedremo. Mi limito a segnalare, però, che da anni e anni i servizi segreti (quelli che un tempo preparavano colpi di stato, compilavano liste di oppositori da incarcerare) si sono privatizzati. Comprano e vendono informazioni, costruiscono fortune private per speculatori finanziari e manager in ascesa, schizzano fango, sputtanano (con rivelazioni parziali e interessate) inchieste giudiziarie potenzialmente pericolose, condizionano i giornali fornendogli scoop avvelenati. Dopotutto è il capitalismo nel tempo del dominio della finanza. Una macchina che spara sostanze maleodoranti sugli avversari dei politici amici, che asserve i governi a interessi privati, che scambia informazioni come si scambiano le merci, che fa soldi con la crisi e si gonfia quanto più cresce la sfiducia, che sostituisce il credibile al vero. Mi fanno sorridere gli editoriali compunti e allarmati che leggo oggi sui giornali: parbleu, non possiamo più fidarci del telefono! Come me la sono risa, qualche giorno fa, leggendo il rapporto (pieno di errori) con cui CIA e FBI hanno imputato a un’unica centrale (manovrata dal “nemico” Putin) le spiate e il tanto fango che hanno segnato le elezioni presidenziali e la vittoria di Trump. Più seria mi pare la denuncia dei magistrati inquirenti che dicono a Ferrarella: per le intercettazioni (strumento indispensabile di indagine) dobbiamo rivolgerci a ditte private, senza garanzie che non vendano le informazioni sensibili al migliore offerente.
“Un banchetto da 4mila miliardi che ha ingrassato Wall Street”. Finalmente abbiamo un giornale marxista: il Sole24Ore. Non sto scherzando. Stamani, quel foglio giallo, finanziato da Confindustria e letto da benpensanti conservatori, pubblica un’inchiesta firmata da Claudio Gatti che si intitola “La fabbrica delle disuguaglianze”. Sostiene che a partire dal 1982, e precisamente da una “riforma” voluta la Reagan, la 10B-18, che legalizzava, “senza regolamentarlo rigidamente, l’acquisto di azioni proprie da parte di società quotate in Borsa, in inglese buyback” le imprese americane si sono curate solo dei profitti degli azionisti a scapito degli investimenti, hanno cercato con ogni mezzo di deprimere i salari, hanno finanziato speculatori e arricchito manager. “Tra il 2005 e il 2015, le aziende dell’indice S&P 500 hanno speso oltre 4mila miliardi di dollari in buyback, in aggiunta ai 2.500 miliardi pagati in dividendi”. “Nel 2015 questo trasferimento di ricchezza dalle aziende e le loro comunità agli investitori, e soprattutto agli speculatori, è arrivato a toccare il 115% dei profitti al netto delle tasse”. Per fare un esempio, la Apple da anni fabbrica i suoi computer e gli iPhone in Cina, perché gli costa molto meno. Spende sempre meno per i 76mila dipendenti americani, che quasi tutti lavorano nei negozi. Tiene all’estero 200 miliardi in cash “per non pagare il 39% di tasse previsto dall’attuale legislazione fiscale americana nel caso rientrino in patria”. Invece “trasferisce sempre più ricchezza a chi specula sui suoi titoli”. E chi specula sul titolo Apple? Gatti cita “Carl Icahn, famoso corporate raider americano, sostenitore politico e consigliere economico di Donald Trump, che tra l’estate del 2013 e la primavera del 2016, ha portato a casa quasi 2 miliardi in profitti”.
Vi stupite che la terza via sia stata ovunque un flop? Clinton e Blair, Scröder e D’Alema si proponevano di “gestire”, edulcorandola, la mondializzazione finanziaria. Proprio mentre manager, azionisti e speculatori, riuniti – verrebbe da dire – un unico disegno criminoso, banchettavano alle spalle dei lavoratori e degli investimenti, negavano un futuro ai giovani, trasformavano le imprese in gusci vuoti, con le azioni che si apprezzavano quanto più si svalutava il lavoro, cresceva la delocalizzazione, deperivano ricerca e sviluppo. In America ma anche in Italia, dove le privatizzazioni (una per tutte quella di Alitalia, salvata, finanziata e venduta, ma sempre più in crisi) sono state questo: il sacrificio di ogni logica imprenditoriale (e di ogni diritto del lavoro) per ingrassare il banchetto di speculatori, manager senza qualità, intermediari e spioni tradizionali o informatici. Tutto si tiene. Ora la sinistra cerca strade nuove. Nel discorso dell’addio, Barack Obama si è candidato a restare. Come capo dell’opposizione democratica, rimettendo in modo – scrive Federico Rampini – “Organizing for Action”, il movimento di base che mobilitò un’armata di volontari durante le due campagne elettorali” che egli vinse, archiviando l’errore Hillary e prendendo esempio da Bernie Sanders e dai suoi millennials. Jeremy Corbin, da parte sua, dà ormai per avvenuta la separazione del Regno Unito dall’Europa, dice di voler lavorare nel suo paese per garantire i diritti e salari agli operai, anche regolamentando la concorrenza dei lavoratori immigrati.
Da noi si parla di elezioni entro l’estate. O per dirla con Massimo Franco, “di bruciare il terzo governo in tre anni” (Letta, Renzi, Gentiloni). Per andare al vertice del G7 (che si terrà a Taormina in maggio) con un esecutivo dimissionario e sostituire il congresso del Pd con nuove primarie per scegliere il candidato della sinistra. A queste primarie potrebbero partecipare – scrivono da giorni i quotidiani – l’ex sindaco di Milano, Pisapia, o la Presidente della Camera, Laura Boldrini. Renzi, forte del giglio magico e dell’apparato Pd, ne uscirebbe sicuro vincitore e sarebbe ben lieto di incassare il sostegno elettorale dello sconfitto. Sostegno prezioso se servisse a ridurre lo spazio elettorale della sinistra che non si riconosce nel Pd e utilissimo per conquistare un eventuale premio di maggioranza, qualora si dovesse riadottare, a dispetto del referendum e del buon senso, una legge non troppo dissimile dal Porcellum e dall’Italicum. Votiamo subito che Grillo è in crisi: ha dovuto far marcia indietro e tornare da Farage, i guai della Raggi forse non sono finiti, il Pd potrebbe superare sul filo di lana M5S. E poi? Ancora jobs act, che non ha portato lavoro ai giovani ma solo più voucher. Ancora #labuonascuola, un fallimento a immagine del volto, sbattuto impietosamente sui muri di Roma da un manifesto mariolo perché anonimo, della nuova Ministra della pubblica istuzione. Ancora bonus fiscali e incentivi alle imprese, che ingrassano il mercato delle azioni e delle obbligazioni ma non investono. Ancora favori alle case farmaceutiche e alla sanità privata. Quando il matrimonio è in crisi, dai il bianco alle pareti di casa. È la tecnica della “ammuina” di borbonica memoria, la tecnica del referendum con cui il meridione fu chiamato a sostituire un re Borbone con un Savoia. La tecnica che dovrebbe darci un Renzi 2 dopo la sconfitta del Renzi 1. Al compagno Pisapia, che oggi dice al Corriere “non sono la stampella di nessuno, sono impegnato per un centro sinistra in netta discontinuità con la politica degli ultimi anni” chiedo in cosa debba consistere questa “discontinuità” e dove e quanto Renzi e il Pd abbiamo dato un segno di volerla attuare.