La battaglia per il referendum. Con il sì della Cassazione, i 500 mila consegnati da Boschi e soci (che hanno avuto il merito di raccogliere le firme), le difficoltà economiche dei comitati per il No (rimasti all’asciutto del finanziamento pubblico), con i contorcimenti prevedibili in seno al governo tra chi vorrebbe rinviare il voto fin quasi a dicembre e chi invece rompere gli indugi e farci pronunciare prima dell’approvazione della legge di stabilità, il treno referendario è finalmente partito. Il parlamento ha deciso di modificare 47 articoli della costituzione. C’era bisogno di cambiarne tanti? Qualunque costituzionalista, anche il più acceso sostenitore delle riforme, vi risponderebbe no, ma, c’è sempre un ma. Così, grazie alla volontà di potenza del duo Boschi-Renzi e al senso di colpa di un parlamento che si sentiva illegittimo, così si è riuscito a cambiarla la Costituzione. In un altro modo forse non si sarebbe riusciti. Non c’è la prova, ma nemmeno quella contraria. Dunque?
Indebolire l’attuale presidente del consiglio. “Anche un bambino sa – scrive Michele Salvati sul Corriere della Sera – che questo è l’obiettivo dei “partiti”. Ed egli sottolinea, in modo perfido seppur veritiero, che tutti i partiti “tranne il Pd (e neppure tutto) e poche forze politiche minori” sono per bocciare la riforma. Dunque, cittadini votatela! Perché – parola di Salvati – se non passasse “a essere bocciato non sarebbe soltanto il governo, il partito o il cittadino che non hanno fatto i compiti e non hanno superato gli esami: sarebbe tutto il Paese”. Infatti “il nostro Paese sembra ritornato nelle sue solite condizioni di politica instabile, per i sobbalzi che smuovono l’intero scacchiere e per i conflitti tra i partiti ed entro di essi”. Dunque meglio Renzi che tutto quello che abbiamo avuto prima di lui. Nel futuro Michele Salvati non crede affatto, non vede speranze a per questo berrà la cicuta: “Certo, la riforma è imperfetta: anch’io ho molte critiche…ma riforme perfette non sono di questo mondo e le imperfezioni sono tollerabili se la riforma, nel suo complesso, attenua i principali impedimenti che si frappongono all’efficacia e alla rapidità decisionale dei governi”.
Rafforzare i poteri del premier. L’unico senso che si può cogliere dietro il massacro di 47 articoli della Carta è appunto questo. Scrive bene Michele Ainis per Repubblica: “Via il Senato, che diventa un camerino della Camera. Via le Regioni, trasformate in megaprovince. Via le province, mentre altre riforme dimezzano i poteri intermedi (camere di commercio, soprintendenze, prefetture), non meno dei corpi intermedi (ha ancora un ruolo il sindacato?). Nel frattempo il comando s’accentra, si riunifica nel superdirettore della Rai o nei superdirigenti delle scuole. E nel Premier, ovviamente, al quale l’Italicum consegna un rapporto diretto, verticale, con il popolo. Tutto più semplice, però se soffri di vertigini magari ti viene un capogiro”. L’Italia in mano a uno solo sarà almeno più efficiente e moderna? Ne dubito e mi rifaccio a un esempio preso dalla cronaca: Erdogan e la Turchia. Laggiù può darsi che la scommessa del colpo di stato iper-presidenziale funzioni: c’erano l’altro ieri a Istanbul un milione di persone a sostegno del premier. Oggi Erdogan è da Putin, il quale, umiliato dalle sanzioni europee e dai giochi di guerra della Nato alla sua frontiere, offre alla Turchia un sistema di alleanze alternative, con la Russia e con l’Iran. Erdogan può giocarsela e lo fa ricattando l’Europa. Anche se credo che alla fine le due frazioni che ha umiliato, quella laica e kemalista e quella islamico-tollerante (ottomana), gli riprenderanno, con i curdi, il potere.
Immaginate un milione di persone in piazza per Renzi? Io no! Il potere potenzialmente acquisito – se vincesse il Si a novembre – dal premier attuale si scioglierebbe al momento del voto con l’Italicum, si squaglierebbe davanti all’evidenza che la ripresa economica cambia ben poco i destini dei giovani che cercano lavoro e del ceto medio che si sente impoverito, si frantumerebbe davanti all’evidenza che la corruzione dilaga come prima. Certo, le cose potrebbero essere in parte diverse se l’Italicum desse la vittoria al candidato a 5 Stelle, il quale potrebbe avere il sostegno di un popolo incavolato con la classe, di destra e di sinistra, rimasta al potere per decenni. Però anche questo scenario non è probabile, se pensiamo alle difficoltà che Virginia Raggi incontra a Roma e al silenzio freddino che sta circondando i primi atti del suo governo. In verità ritengo che sia meglio bocciare la riforma, costruire una legge elettorale rappresentativa, in cui gli elettori possano scegliere non solo un partito ma delle donne e degli uomini, e dare il mandato a queste donne e a questi uomini, nella massima trasparenza possibile, di fare accordi politici per governare il paese, con buon senso e con un moderato (e sempre critico) sostegno degli elettori.