Terrorista? Sì, ordinava di sparare nel mucchio per creare terrore. Islamista fanatico? Figlio di palestinesi deportati a Gaza, lo era diventato accanto allo sceicco cieco Yassin che aveva aderito alla setta dei Fratelli Musulmani. Antisemita? Il 7 ottobre, che avrebbe promosso e dalle cui atrocità non ha mai preso le distanze, è stato un pogrom contro gli ebrei israeliani. Ma per tanti, a Gaza e in Cisgiordania, nei paesi arabi e nel sul del mondo, Yahya Sinwar resterà nella memoria come l’ultimo difensore del Popolo Palestinese. Ingannato dalla Comunità Internazionale, che continua a parlare di due Stati ben sapendo che Israele ne ha cancellato la possibilità, Tradito dai paesi arabi che, con i Patti di Abramo, sembravano pronti ad accettarne la deportazione, in cambio di una guerra americana e israeliana contro gli sciiti.
Lo hanno ucciso. Probabilmente gli hanno fatto un regalo. Se avesse accettato un salvacondotto per il Qatar o la Turchia, lasciando Gaza nella morsa di Israele, il suo mito avrebbe potuto soffrirne. Oggi è un martire. Parola che detesto, perché fa prevalere la morte sulla vita, l’odio sul compromesso. E dico, con il Galileo di Brecht, “Sventurata la terra che ha bisogno di martiri”. Ma aggiungo che oggi Israele ha un nemico in più, non uno di meno. Il suo governo dovrà ora ammettere – in parte l’ha gia fatto- che proseguirà la guerra anche dopo la morte dell’ultimo capo di Hamas, di Hezbollah, dei Guardiani della Rivoluzione.
Perché il governo di Israele si propone, purtroppo, di annichilire i palestinesi, costringerne milioni a lasciare il paese, assoggettare il Libano forse occupandone una parte, e sconfiggere la Persia -cosa che non riuscì nemmeno agli arabo islamici- per controllare l’intero Medio Oriente. E il suo popolo -dico la maggioranza degli israeliani e gran parte delle comunità ebraiche della diaspora- è prigioniero di una menzogna. Di un insulto alla memoria che sovrappone il 7 ottobre alla Shoah, accusa di antisemitismo chiunque critichi stragi, terrorismo di stato, violazione del diritto internazionale, e chiama difesa o riscossa una guerra di conquista. E distingue il Popolo Eletto dagli “animali umani” palestinesi, iraniani, antioccidentali. Non so che diranno oggi Biden, Macron, Scholz e Starmer. Forse, come anticipano Corriere e Messaggero, che “la guerra è una svolta” e Israele potrebbe fermarsi. Temo sia solo un balbettio. Ma le follie della storia -e questa guerra israeliana è una follia- non durano troppo a lungo.
Dopo le elezioni americane, dopo il probabile rafforzamento dei BRICS, quando sarà chiaro che nemmeno gli Stati Uniti possono combattere e vincere tre guerre (in Europa, in Medio Oriente e in Cina) si faranno i conti anche in Israele. Ma resteranno i veleni. E fra questi una nuova ondata di antisemitismo, di cui Netanyahu resta l’apprendista stregone.