Mi viene voglia di parlare di Totti. Entra in campo dopo il diluvio, fa un lancio al volo che scavalca tutta la difesa e basta metterlo in rete. Poi, freddo e preciso, tira il rigore numero…non lo so. Il primo, in serie A lo segnò per la Roma il 4 settembre del 1994. Berlusconi era da poco entrato a Palazzo Chigi. Segna anche stavolta: freddo e preciso spiazza il portiere e centra l’angolo della rete. Si sente bene. È quello che sa fare, quello che gli piace fare. Corre verso la curva, si toglie la maglia e la lancia. Quel numero 10 è suo ma è di tutti.
Mi viene voglia di parlare di Hillary Clinton. First lady per 8 anni, senatrice per altri 8, oggi prima donna candidata alla presidenza. Fugge da ground zero l’11 settembre: non fa a tempo e si accascia, circondata dai suoi, a un passo dalla macchina che l’avrebbe sottratta all’occhio di Fox Tv. Ricompare due ore dopo. “Sto alla grande”, dice. Passano alcune ore e in serata un bollettino medico sostiene che venerdì le sarebbe stata diagnosticata una polmonite: Hillary era sotto antibiotici e alla cerimonia per l’11 settembre non avrebbe retto al caldo. È malata, dicono i repubblicani: nel 2013 fu ricoverata per un trombo fra cervello e cranio, interrogata sulle mail che dirottò dall’account del dipartimento di stato a uno suo, privato, accusò vuoti di memoria. In Francia, quando Mittterrand fu rieletto nel 1988, sapeva già di avere il cancro. Nessuno ne scrisse, come nessuno scrisse, fin quando fu in vita, della doppia vita coniugale del presidente e della figlia segreta, Mazarine. Ma l’America è l’America e così si materializza persino il fantasma di una convocazione dei delegati democratici per un cambio in corsa del candidato. Se Hillary non riuscisse a fugare i dubbi sulla sua salute.
Mi viene voglia di parlare di Haftar, un signore che non mi piace. Militare al servizio di Gheddafi ora a capo di una milizia libica armata dall’Egitto. Ieri ha occupato alcuni pozzi di petrolio. Scrive Repubblica che noi italiani manderemo a Misurata “100 medici e 200 parà”. Ma le milizie che ancora combattono a Misurata contro l’Isis si alleeranno con Serraj, il premier che l’occidente ha spedito a Tripoli, o invece non passeranno con Haftar? Intanto in Siria i “ribelli” di Ahrar al Sham, alias Al-Nusra, alias Al-Quaeda, informano che non rispetteranno la tregua conclusa da Stati Uniti e Russi, che dovrebbe debuttare oggi.
Delle pensioni capisco che il governo spera di far muovere il PIL, con i prestiti bancari a chi decide di (o viene spinto a) lasciare il lavoro, e le assicurazioni che dovranno garantire le banche dal rischio di un mancato rimborso. Ma, secondo il Giornale, “il governo non tocca i diritti acquisiti”. Meno male, anche se prosegue la campagna di colpevolizzazione dei pensionati: se i ragazzi non hanno futuro non è perché da decenni mancano scelte di governo coraggiose e mirate, no è perché a inizio mese si pagano gli assegni previdenziali.
Il resto è l’urlo Renzi, che alza la voce forse perché la sua propaganda passa sempre meno sui giornali: “alcuni leader del passato vorrebbero fregarci il futuro continuando con le divisioni interne, le risse, le polemiche di tutti i giorni. A loro diciamo che questa è la riforma del Pd, come lo era dell’Ulivo e del Pds”. Non è vero affatto: la bicamerale aveva adottato il semi presidenzialismo francese, che è discutibile ma sta in piedi, Renzi e Boschi hanno riscritto 47 articoli della Costituzione ma la ratio della riforma sta fuori, sta nella nuova e già vecchia legge elettorale. “L’Italicum? Faremo proposte (ndr dopo il voto referendario). Ma basta con la guerra del fango”. Intanto non fa mancare il suo obolo e sfotte D’Alema per aver firmato un libro, l’Italia normale, scritto da Cuperlo e Velardi. “Il suo tentativo – spiega il plenipotenziario per la Sicilia Faraone – è presentare D’Alema insieme a Berlusconi come i due leader del passato che cercano di frenare il futuro, due leader che sono insieme agli occhi della nostra base il simbolo di una politica inconcludente. Ma il suo discorso alla festa è stato “un boomerang”, scrive il fatto. Per Bersani, quella di Renzi a Catania “è la solita canzone”. “Allo stato delle cose il mio voto al referendum è no”, dice Roberto Speranza. Voterò no” fa eco Miguel Gotor. E Cuperlo vede “profilarsi il rischio di una rottura”.
Sta urlando. Senti come urla? Dice Mirello Crisafulli ad Antonello Caporale. “Ma un leader non urla, parla piano, pennella”. A me pare un treno che corre lungo un binario morto. Non si salverà dalla sconfitta, Renzi. Al referendum, e sarebbe meglio per il paese e forse pure per lui, o quando andremo a votare, con premio alla coalizione (come vorrebbe Alfano) o alla lista (come è nell’Italicum). In 30 mesi ha promesso tutto e mantenuto poco. Ha preteso di asfaltare mezzo mondo ma poi non passa giorno che non torni a parlare dei rottamati. Ha strombazzato un capolavoro di riforma, ora chiede che gliene votiamo una perché è meglio di niente. Sosteneva che “tutti in Europa ci imiteranno l’Italicum”, ora dice che la sua disponibilità a cambiare quella legge è “totale”. L’occupazione stabile aumenta poco mentre i voucher dilagano, il ceto medio ha paura a spendere. Un giorno sì e uno pure dalla Confindustria gli impartiscono lezioni di rigore (tagli alla spesa pubblica) e di coraggio (meno tasse e più investimenti). Persino Napolitano gli fa la ramanzina e Violante si dice disposto a guidare “un comitato per il sì” ma solo quello “degli anti renziani”. Ha allontanato i vecchi Civati, Fassina e D’Attorre per attrarre i nuovi Verdini, Alfano, Casini.
Virginia ha la scorta. Virginia offende il Vaticano. No il Vaticano non si sente offeso. Allora forse “sfiora l’incidente con la comunità ebraica”. Sarebbe ora di smetterla con la soap opera a 5 Stelle tutti i giorni su ogni giornale. Si sarebbe potuto capire già tre anni fa che “le regole” di Casaleggio non avrebbero messo i “bravi ragazzi” grillini al riparo dalla loro impreparazione. È vero, a Roma hanno nominato alcuni indipendenti (Minella, Raineri) e li hanno fatti scappare. Hanno cercato presunti “competenti” nel sottobosco del potere romano (Muraro, Marra) e non era quello che ci si aspettava da loro. Ma forse è venuto il momento di chiedergli della raccolta rifiuti, del trasporto pubblico, delle buche a Roma, di come ripianare il debito della capitale e far lavorare i vigili. Anche perché ho l’impressione che se Virginia si chiamasse Giuseppe, i nostri giornali (sempre femministi) sarebbero più indulgenti.