Il modo brucia, scrive Stefano Stefanini e le prime pagine si infiammano. Cominciamo dal suo giornale, la Stampa: “Al Qaeda, la strage arriva dal mare”. In Costa d’Avorio, 13 persone ammazzate in tre resort turistici. Come era già successo a giugno sulla spiaggia tunisina di Sousse. Scrive Stefanini: “Sappiamo «dov’è» Isis. Conosciamo la sua capitale in Siria, le città dove esercita il suo barbaro potere con violazioni orrende dei diritti umani, conosciamo le basi sul litorale libico… Non verremo mai a capo di questa minaccia se non uniremo a un forte impegno diplomatico e politico anche lo strumento militare”. Penso che sia vero, con buona pace di tanti amici che hanno fatto di un pacifismo vegano la loro bandiera, ma quello che ci impedisce di eliminare le basi del Daesh – e con esse l’esempio, il motore delle stragi, il luogo del viaggio iniziatico prima di farsi kamikaze – è il nostro legame con l’imperialismo. Il fatto che siamo alleati degli ideologi e dei finanziatori sauditi, che l’amico Israele preferisca tenersi a due passi Daesh anziché avviare un dialogo – lo so, difficile – con l’Iran, che siamo corrivi con la Turchia, paese Nato, pronto a usare le bombe islamisti contro curdi e russi.
Doppio attacco del terrorismo, titola il Corriere. Vero, perché è terrorista anche la strage che ha squassato ieri la capitale turca Ankara. Una auto bomba lanciata da due kamikaze contro i passanti, almeno 34 morti. E di “terrorismo”, senza attributi, per definire questo orrore, parla il premier turco, lasciando però intendere che questa volta non sarebbero stati islamisti stranieri come a Istanbul ma i combattenti curdi del PKK. E ha subito imposto la censura ai giornali. Ormai da un anno Erdogan conduce una sporca guerra – speriamo che non sia la premessa di una soluzione finale come quella riservata un secolo fa agli Armeni – contro il popolo curdo. Stragi, compiute da terroristi islamici ma benedette del potere, contro gli elettori democratici dell’Hdp di Demirtsas, bombardamenti effettuati dall’esercito contro villaggi e combattenti curdi in territorio iracheno siriano. Uso dei profughi (e della paura europea) per costruire (con i nostri soldi), cambi di concentramento controllati dall’esercito al confine con la Siria, togliendo ai curdi quella terra e la possibilità di combattere Daesh. Non posso giurare che l’attentato di ieri non sia stato davvero opera del PKK: Ocalan, stalinista ma non idiota, è in carcere e una parte dei suoi si sente martire di un genocidio. Anche se le modalità – e l’obiettivo non militare – fanno piuttosto pensare al Daesh. Resta che il governo turco sta infiammando il mondo proprio con Al Bagdadi e Ryad. E noi taciamo.
Schiaffo a Merkel, titola Repubblica. Come previsto, la cancelliera è stata “punita” dal voto in Sassonia Anhalt, piccolo lander dell’est dove il partito anti immigrati di estrema destra è al 24%, in Baden-Wüttemberg, la regione di Stoccarda al sud, dove i verdi sono primi con il 30%, gli anti immigrati al 15% e i due partiti storici, SPD e CDU, perdono in totale il 22%, e infine in Renania Palatinato, dove le perdite della CDU sono contenute, l’SPD resiste come primo partito ma comunque la destra della Afd supera il 12%, insomma diventa anche lì partito nazionale. Perché Merkel perde? Perché ha lasciato che entrassero in Germania un milione di profughi, dice la vulgata. In realtà la cosa è più grave: la cancelliera ha perso il suo tocco magico perché si sono esaurite le basi del suo populismo pan tedesco, che trattava gli europei del Sud come allievi colpevoli di non fare i compiti a casa, che imponeva il rigore come unica possibile politica economica, e incoraggiava il risentimento anti russo dei paesi dell’est a condizione che non toccasse gli interessi della Germania e gli affari tedeschi con Putin. Tutto ciò è archiviato: Draghi ha imposto alla BCE e all’Europa una politica monetaria accomodante se non espansiva, la Germania non ha un piano B che le permetta di lasciare al suo destino l’Europa del sud, Putin si è preso la Crimea e si è posto al centro della crisi in Medio Oriente. Anche sui profughi la cancelliera ha fatto solo quello che era indispensabile per poter chiedere ai paesi mediterranei di contenere il flusso e mantenere una parvenza di Europa. Non è della crisi di un leader – Angela Merkel – che ci parlano queste elezioni, ma della mancanza di una politica capace di rispondere alla Lunga Recessione, alle disuguaglianze crescenti, all’incapacità dell’imperialismo sia di ritirarsi dalle zone calde del mondo sia di pacificarle. Una politica che un tempo avranno detto “di sinistra”. E gli elettori di sinistra oscillano: in Renania si abbracciano ancora alla SPD, a Stoccarda scelgono i verdi, in Sassonia puniscono tutte le sinistre, con SPD e Linke che perdono insieme il 17%.
Non vi parlerò di Bersani e di Renzi, l’ho già fatto e il troppo stroppia. Vi segnalerò invece un articolo di Roberto Sommella sul Corriere, “Il capitalismo della rete e il socialismo delle cose”, che spiega come dietro la deflazione e la disoccupazione giovanile ci siano i successi della sharing economy, della digitalizzazione dei processi, della quarta rivoluzione industriale. Oggi infatti risparmiamo l’albergo grazie a Airbnb, scegliamo Uber o ci guidiamo la macchinetta di Enjoy invece di prendere un taxi, compriamo o chilometro zero, cominciamo a ridurre (non abbastanza) la quantità dei medicinali assunti e il numero dei ricoveri incrociando i dati su internet e scegliendo cure mirate, usiamo una stampante tridimensionale e lasciamo ai robot i lavori più duri e ripetitivi. Risultato? Spediamo di meno, i prezzi scendono, sul mercato del lavoro non servono ingegneri, medici, manager, filosofi, operai meccanici, idraulici, molti mestieri, tutti diversi e specializzati. Ci vorrebbero medici-ingegneri, filosofi-manager, idraulici che sanno di meccanica, e tutti capaci di usare strumenti informatici, di trattare milioni di dati e di informazioni in pochi attimi. Capite? E dovremmo credere che gli incentivi alle imprese, la svalutazione del lavoro, l’ottimismo come ideologia, possano risvegliare i demoni della ripresa come negli anni 60? Non è così. Il mondo cambia e con ritardo ne prendiamo atto. “Marx – dice Sommella – aveva già a suo tempo trovato una definizione perfetta per questa rivoluzione digitale. Nel 1846, quando illustrò la società comunista: «La possibilità di fare oggi una tale cosa e domani un’altra, di cacciare al mattino e di pescare nel pomeriggio, di praticare l’allevamento la sera e di fare della critica dopo i pasti. Tutto a proprio piacimento, senza essere pescatore, cacciatore o critico». Sono passi della Ideologia tedesca”. É successo, e c’è anche questo dietro la crisi.