Libia piano in tre fasi, dice Repubblica. Quale piano, di grazia? Quando mai la ministra della difesa Pinotti, che ieri ha annunciato il via libera all’uso di basi italiane per bombardare Sirte, ha informato il Parlamento? Eppure straparla di intervento militare da almeno sei mesi. Intendiamoci, il pacifismo assoluto non può essere fatto proprio dagli stati: l’Italia può avere la necessità di difendersi in Libia davanti al rischio che a due passi da casa si costituisca una base di lancio del terrorismo kamikaze. Ma vorremmo sapere quali siano le forze in campo, che affidabilità abbia il premier Serraj, portato a Tripoli dagli occidentali e tuttora protetto in un bunker, che gioco stia facendo il generale Haftar, che comanda qualcosa di simile a un esercito ed è appoggiato da Egitto e Francia, che fine faranno i terroristi in fuga da Sirte (mettiamo che vada così) dopo i bombardamenti, e chi si occuperà di loro. Invece niente, silenzio, strizzate d’occhio sulla nostra proverbiale furbizia, sull’equilibrio del premier Renzi, sul fatto che finora non abbiamo subito attentati. Un paese libero e democratico non può accettare di entrare in guerra senza dirlo, senza che il Parlamento sia chiamato a discuterne. Questo dovrebbero dire, all’unisono, le opposizioni. A questo dovrebbero rispondere tutti coloro che, nella maggioranza, non si vogliono ridurre a fare i camerieri di un premier che finge distacco e se ne sta con la famiglia in Brasile, aspettando le medaglie.
E a Raqqa che si vince la guerra, scrive Stefano Stefanini sulla Stampa. Ha ragione da vendere. Ed è sospetto l’atteggiamento di un ministro degli esteri e di un premier che si vantano di non andare là a bombardare, perché è lontano e non ci tocca direttamente. Per evitare sciocche osservazioni, ripeto che il problema non è lanciare un missile in più contro i terroristi e i civili innocenti che li circondano, il problema è dare la possibilità a curdi, yazidi, alayti, e ai sunniti dell’esercito iracheno di vincere la guerra con il Daesh, dando l’opportunità anche ai civili sunniti di sottrarsi alla legge del califfo. Perciò bisogna rompere con l’Arabia Saudita, a sua volta alleata dei terroristi di al Nusra, che stanno cercando di “liberare” Aleppo. Fra parentesi, il pakistano giocatore di cricket arrestato a Genova ed espulso, è accusato, appunto, di far parte di Al Nusra. Ma bisogna dire la verità: il centro dell’infezione è Daesh, senza eliminare quella base tra Siria e Iraq, altre ne spunteranno. Se la si eliminasse, ridurre poi il danno in Libia, diventerebbe assai più facile. Oggi il ministro della giustizia Orlando dice che i terroristi islamici “hanno fanno festa (per gli attentati) nelle nostre carceri”, Corriere della Sera. Oggi Repubblica titola “Il servizio segreto dell’Isis (dunque con base in Iraq e Siria) addestra i jihadisti” e gli dice “Dovete colpire in Europa”. Dunque l’Italia cosa pensa di tutto ciò, quale strategia propone all’Europa per il medio oriente? Silenzio.
C’è poi il problema della Russia, di cui oggi non parlano i giornali. È diventata ormai la chiave della soluzione del problema del medio oriente – ancora di più dopo il tentativo di colpo di stato e il riavvicinamento di Erdogan a Putin che mette in braghe di tela la Nat0 -. Che facciamo con Mosca? Continuiamo con le sanzioni, proseguiamo con il balletto delle manovre Nato ai confini della Russia? Bisogna offrire a Putin una ragionevole intesa in Ucraina che salvi i diritti delle persone e crei uno stato federale, con la parte “russa” e quella “europea” riunite ma fortemente autonome. Dobbiamo rinunciare alle sanzioni e costruire delle zone franche, di libero scambio tra euro e rublo. Se questo fosse fatto, anche la possibilità di ricatto di Erdogan verrebbe ridotta. Se si continua a fare gli struzzi, finirà che in America vincerà Trump e che ristabilirà, lui, rapporti con Putin ed Erdogan, lasciando l’Europa ad esplodere sotto il peso della sua ignavia. E a pagare il prezzo più alto per gli errori americani.
SchifeRai. Quello che mi indigna delle scelte di Maggioni e Campo dall’Orto (via Berlinguer, sostituita dal giornalista dimessosi da Ballarò in polemica con Giannini “troppo anti renziano”) è che tali scelte trasudano sottomissione. Non più a Berlusconi (che comunque era un gigante, con il suo gigantesco conflitto di interessi e la faccia tosta di assumersi senza infingimenti la paternità dell’editto bulgaro), né generica sottomissione “politica”, ma concreta genuflessione a ometti in carne e ossa (e senza arte né parte), ometti e donnette che il premier-segretario ha disseminato nelle istituzioni per propagare il suo verbo. Michele Anzaldi, che sentenzia “al Tg3 non si sono accorti di chi sia il segretario e il presidente del consiglio”, Francesca Puglisi, che ha denunciato addirittura una “conventio ad excludendum” ai danni del Pd, Alessia Morani, che il giorno in cui viene sgozzato padre Jacques attacca il Tg3 per non aver dato risalto alla apertura “di un ulteriore tratta” della Salermo Reggio Calabria. È a tali uomini e a codeste donne che Monica Maggioni e Campo dall’Orto danno prova di sottomissione. Il sovrano dice a Repubblica di non voler mettere il naso nelle scelte di viale Mazzini (forse per non sentirne la puzza) e prova a sottrarsi correndo via in Brasile con famiglia e fotografo, a cogliere allori olimpici. Povera Rai. Si caccia Bianca Berlinguer perché, con il nome che porta, sarebbe imbarazzante chiederle di fare propaganda smaccata per il Sì al referendum costituzionale. O pretendere che tessa le lodi della “ripresa” renziana!