58 ore sotto un tetto di ghiaccio, Corriere. “Il racconto dei sopravvissuti – ancora 23 i dispersi -. La rabbia delle famiglie: non ci dicono niente”. “All’inferno e ritorno”, scrive Repubblica. “La paura, il buio, la fame e la sete: ci siamo salvati succhiando neve”. Poi, le polemiche: “La turbina della salvezza dimenticata nel paese accanto”, la Stampa. “La mappa delle valanga non è stata completata”. E ancora “L’hotel costruito in una zona troppo a rischio. Per il Corriere, Polito scrive: “Tra il 2009 e il 2015 il numero dei dipendenti pubblici si è ridotto di 110 mila, ed è praticamente impossibile che fossero tutti lavativi. All’organico dei vigili del fuoco, i magnifici vigili del fuoco che abbiamo appena visto tirar fuori i sopravvissuti dalle viscere della montagna, mancano 4.000 unità (e guadagnano non più di 1.400 euro al mese, e aspettano da sette anni un rinnovo contrattuale). Per giunta siamo un paese ineguale, perché in Trentino le turbine antineve non mancano, tant’è vero che molte sono state spostate in Abruzzo per l’emergenza”. Questo mentre un’altra strage si impone alla cronaca. Ragazzi ungheresi rimasti intrappolati in un pullman in fiamme. E anche qui l’eroismo dello studente che ha rotto i vetri per fare uscire i compagni ma lui non ne è uscito, del professore che non ha esitato a ributtarsi in quell’infermo per salvare chi ha potuto.
Pink Panthers, pantere rosa le chiama il manifesto. Mezzo milione di donne (forse di più) che si sono prese Washington, un cappello rosa in testa, per contestare un presidente bullo e maschilista: “La resistenza comincia oggi”. Ed è vero che non è possibile governare un grande paese contro il sentire delle donne. Ma è vero pure (secondo me) che non si vincerà contro Trump solo provando a far rifiorire i mille fiori dei diritti. Diritti delle donne, della minoranza nera, di quella ispanica, delle persone omosessuali. Perché la crescita di questi diritti è stata (o è apparsa) octroyé, concessa. Da quelle élites che, per 24 anni – così scrive Marizio Molinari – cioè dai tempi di Clinton, a Bush e a Obama, hanno governato l’America e il mondo. Quei diritti sono oggi messi in questione dalla anti-mondializzazione reazionaria, medievale e islamica. E appaiono conquiste vuote, un lusso che non ci si può permettere al ceto medio impoverito e impaurito, a chi ha paura e crede che i diritti altrui mettano in pericolo la propria condizione. L’odio è una medicina potente. Nei 16 minuti del suo primo discorso da Presidente, Trump non si è rivolto a banchieri e finanzieri che fanno festa per il suo arrivo, né ai ricchi ai quali promette di ridurre tasse. No, si è rivolto all’americano forgotten, che si sente dimenticato, dalla globalizzazione sia delle merci che dei diritti.
Questa è la sfida da vincere. Offrire agli operai negletti, ai giovani precari, ai borghesi che scivolano verso il fondo del burrone, una speranza e un obiettivo. Un sol dell’avvenire, il socialismo, una mondializzazione più giusta, forme di tutela e reddito garantiti, opportunità concrete per uscire dal tunnel. Ditela come vi piace, ma qualcosa che ridia speranza al popolo, che lo vaccini dall’invidia per il vicino e dall’invidia per chi sta in alto, che diventa odio per gli intellettuali, per i commercianti ebrei, per chi afferma una differenza. Odio che risparmia, anzi spesso esalta, proprio i demagoghi responsabili del disastro. In un’intervista al Pais papa Francesco denuncia l’abuso del termine populismo. “Perché il populismo in America Latina ha un altro significato. Lì significa che i popoli sono protagonisti, per esempio, i movimenti popolari. Si organizzano tra di loro… è un’altra cosa”. Ma ricorda quanto è successo in Europa “dopo la crisi del 30, la Germania è in frantumi, cerca di rialzarsi, cerca la sua identità, cerca un leader, qualcuno che gli ridia la sua identità e c’è un ragazzetto di nome Adolf Hitler che dice “io posso, io posso”. E tutta la Germania vota Hitler. Hitler non rubò il potere, fu votato dal suo popolo, e poi distrusse il suo popolo. Questo è il pericolo. Cerchiamo un salvatore che ci restituisca la nostra identità, ci difendiamo con muri, con fili spinati, con qualsiasi cosa, dagli altri popoli che possono toglierci la nostra identità”.
Usano persino i terremotati per arrivare al vitalizio. Ecco come il Fatto Quotidiano liquida una intervista nella quale Pietro Grasso prevedeva che non si voterà subito e sosteneva che questo sarebbe persino un bene, se il Parlamento usasse il tempo che resta per approvare leggi insabbiate durante lo scontro referendario e per dare qualche risposta immediata ai problemi posti dal terremoto. Per carità, capisco che abbia senso chiedere che si voti al più presto. Personalmente penso che sarebbe stato bene votare già nel 2014, con una legge elettorale più rappresentativa, dopo che la consulta bocciò il Porcellum. Ma ristabiliamo la verità dei fatti: il vitalizio non c’è più. Nessuno dei deputati e dei senatori di questa, disgraziatissima, 17esima legislatura prenderà un assegno da ex parlamentare se non quando avrà raggiunto l’età della pensione. In secondo luogo, anche sciogliendo le Camere in primavera (anziché dopo la metà di settembre quando, trascorsi 4 anni e sei mesi, decorrerà il diritto alla pensione) deputati e senatori potranno acquisire ugualmente il diritto alla pensione, integrando di tasca propria i contributi per quei pochi mesi mancanti. Voglio dire che ci sono molti motivi per non votare, e alcuni niente affatto nobili (ogni partito, ad esempio, cerca di lucrare la legge elettorale che più gli conviene), ma è falso che non si voti per salvare i vitalizi. Quel titolone in prima pagina serve per titillare l’odio anti parlamentare, può persino far vendere qualche copia in più, ma non aiuta a stabilire la verità dei fatti.