Tanto tuonò che piovve. Il premier, gli arditi del #bastaunsì, la libera stampa da settimane raccontavano a tinte fosche la possibile vittoria del No: Renzi che si dimette, i mercati che considerano l’Italia instabile, speculazione, spread. Ieri Financial Times ha mostrato dove potrebbe essere assestato il colpo, enumerando le banche che il governo ha lasciato a metà del guado, tra risanamento (nazionalizzazione camuffata) e fallimento. La borsa di Milano ha perso quasi due punti, più del doppio della media europea, il Monte dei Paschi oltre il 13%, mentre lo spread è tornato intorno ai 190 punti. Ecco i titoli: “Voto, le tensioni della borsa”, Corriere della Sera. “Effetto referendum su spread e mercati. Tremano le banche”, la Stampa. “Effetto banche sulle borse”, Il Sole24Ore. Mentre Repubblica ha promosso alcune frasi pronunciate dal Presidente della Repubblica durante un incontro con gli studenti: “Altolà di Mattarella: sono io l’arbitro dopo il referendum”. “Il Colle – spiega il giornale diretto da Calabresi – frena su crisi di governo ed elezioni anticipate”.
Doni, sgravi, debiti. Ieri la legge di stabilità ha ottenuto il primo sì alla Camera e il Presidente del Consiglio ha potuto enumerare i doni che metterà sotto l’albero di Natale. Dal Corriere: Previdenza, quattordicesima più alta e “ricongiunzione gratuita dei contributi per chi li ha versati a enti diversi”. Tra i 30 e i 5o euro in più per i pensionati poveri, dice il Renzi. Industria 4.0 “Maxi sconto fiscale per le aziende che investono”. Famiglia, “dal bonus per i neonati al voucher per il nido”. Contratti, “per gli statali a regime un aumento di 85 euro”. Gli aiuti, “sospensione delle imposte e interventi per il terremoto”. Cosa volete di più? Incontentabile, il commentatore del Corriere Daniele Manca, chiosa: “è tutt’altro che da ingenui chiedersi come saranno coperte le spese vecchie e nuove. Le promesse hanno un costo che spesso come in queste occasioni non è una tantum. E i soldi per coprirli dovranno essere trovati nel 2017 ma anche nel 2018 e negli anni a seguire”. Addirittura questo arci gufo arriva a scrivere: “Non è detto che il sapore amaro di misure contingenti a ridosso delle elezioni non venga colto anche da quanti ne saranno agevolati: loro stessi forse sono oggi più preoccupati del futuro di figli e nipoti che di se stessi”. Doni elettorali, effetto boomerang?
Italia Sì, Italia No. Renzi comunque. Chi ha mai detto che mi dimetterei solo se vincesse il No? Potrei farlo anche in caso di una (agognata) vittoria del Sì. Al grido “riforma è fatta, missione compiuta”. È questo il senso della consueta indiscrezione concessa dal premier alla sua retroscenista più impavida, Maria Teresa Meli. Sembra una risposta all’altolà di Mattarella. Crisi di governo, “fisiologica”, anche in casa di vittoria dei Sì. “È chiaro – precisa la Meli – che in questo caso non sarebbero dimissioni per andarsene, ma piuttosto per rafforzare sia il proprio ruolo che il governo con una nuova fiducia, e per allargare la maggioranza”, a Verdini. “Ma il realismo – prosegue la retroscenista – induce Matteo Renzi e i suoi a vagliare anche il cosiddetto piano B. In questo caso tutto dipende dalle proporzioni della sconfitta”. Se perdesse di tanto – Maria Teresa non riesce nemmeno a formulare una tale ipotesi – Renzi si ritirerebbe sotto la tenda (del Pd) ad ordire tremenda vedetta. “Se invece dovesse perdere di un’incollatura, inevitabilmente il Presidente del Consiglio rimarrebbe al centro della scena politica. E gli sarebbe difficile rifiutare un reincarico per costituire un governo che si porrebbe come obiettivo principale quello di varare una riforma elettorale”.
E il Nazareno è servito. Spiega infatti la retroscenista, che Renzi, intenderebbe fare a Berlusconi una proposta che (come avrebbe detto il Padrino) egli non potrà rifiutare. Via il doppio turno (che ormai il premier considera un regalo ai 5 Stelle), collegi uninominali per la metà dei deputati, il resto da eleggere con la proporzionale ma senza preferenze, più un premio di maggioranza intorno al 15%. “Con un sistema elettorale simile il Pd potrebbe dare vita a un’alleanza – scrive la Meli – con i centristi di Angelino Alfano e Pier Ferdinando Casini, con Scelta Civica ed Ala e con la sinistra di Pisapia e Zedda. Nel proporzionale ognuno andrebbe per conto proprio, ma sull’uninominale si unirebbero le forze”! E Berlusconi? “Ci sarebbe – assicura la Meli – il «via libera» anche di Silvio Berlusconi perché (ndr, questo nuovo Italicum) permetterebbe all’ex presidente del Consiglio, da una parte, di mettere insieme un’alleanza con Lega e Fratelli d’Italia e, dall’altra, di presentare ancora il simbolo di Forza Italia. Denis Verdini, che di Berlusconi è stato il braccio destro e sinistro, e che di leggi elettorali si è occupato in tutte le sue trattative per conto del Cavaliere (nella scorsa legislatura con Pier Luigi Bersani (?) e poi con Matteo Renzi) è convinto che il leader di Forza Italia accetterà una riforma di questo tipo”. Dal Nazareno al Nazareno, dunque.
Che vi dicevo? Di Renzi non vi libererete facilmente: la politica gli piace, è il mestiere che meglio sa fare. In verità l’unico che abbia mai fatto. Liberiamoci almeno delle sue riforme sgangherate. E ormai inutili, se l’uomo che le aveva evocate contro l’inciucio, altro non fa che sognare un nuovo inciucio. Con Berlusconi, suo primo ispiratore, e con l’esperto in riforme costituzionali ed elettorali Denis Verdini, già rinviato a giudizio per bancarotta, per truffa e per attività massoniche “coperte”, che avrebbe svolto usando una loggia detta P3. Io voto No!