Consulta e Cgil salvano Renzi. Detta così, lo capisco, è forte. Ma è meglio parlar chiaro. 3 milioni di cittadini avevano firmato per cancellare il jobs act nel suo articolo fondamentale, quello che toglie ai dipendenti le tutele dell’articolo 18. Se il popolo avesse potuto esprimersi, verosimilmente il referendum avrebbe cancellato l’ultima ridotta del renzismo. Perché, bocciate le riforme costituzionali Boschi-Renzi, in evidente difficoltà #labuonascuola, la “nuova” Rai e la modernizzazione della PA, con l’Italicum in attesa di essere cancellato o dalla Corte o dallo stesso Pd, dei 1024 giorni di rottamazione non restava, infatti, che quello, la soppressione dell’articolo 18. Purtroppo il quesito proposto dalla Cgil conteneva un baco: approvato, non solo avrebbe ripristinato le tutele pre-esistenti nelle imprese con oltre 15 dipendenti, ma le avrebbe estese anche alle piccole imprese, tra i 5 e i 15 addetti. Ora la nostra Costituzione prevede che il referendum possa abrogare una legge ma che non possa in alcun modo riscriverla. È vero che 5 giudici della Consulta hanno votato per il referendum, convinti che il quesito non volesse dettare una nuova norma ma estendere diritti già previsti dallo statuto dei lavoratori. Ma una maggioranza, 8 giudici costituzionali e fra loro Giuliano Amato, ha ritenuto invece che il quesito non fosse puramente abrogativo e lo ha cassato. Così l’uomo di Pontassieve può respirare, ma ora teme che il suo esilio possa durare troppo.
Si allontanano le elezioni? È quello che pensa il corpo molle del Pd e dei partiti satelliti. Poletti lo aveva detto: se la Corte autorizza il referendum, si voti subito. Ora invece Gentiloni può cambiare il sistema dei voucher e reinserire il principio della responsabilità solidale tra impresa appaltatrice e appaltante, può insomma evitare i due referendum autorizzati dalla Consulta, compiendo un gesto di distensione nei confronti della stessa Cgil, non più sicura, dopo la bocciatura del quesito fondamentale, che il quorum per validare il referendum sia alla portata. In tal modo l’agenda del governo si gonfia. Monte dei Paschi, correzioni alla finanziaria, misure urgenti per il terremoto, nuova legge elettorale, leggi su voucher e appalti, vertice europeo a Roma, G7 a Taormina…E quando si vota? Repubblica: Leggiamo “Renzi incassa ma guarda alle urne. Decisiva la sentenza sull’Italicum. Idea Pd, legge elettorale per decreto”. Quest’ultima mi pare una bufala. Per imporre la legge elettorale con decreto, bisognerebbe almeno garantire la rielezione (e non è facile) a tutti i deputati e i senatori disposti a votare la fiducia. E passare sul cadavere del Presidente della Repubblica.
Il fascino discreto di Gentiloni. Così se, come gli auguro, il Presidente del Consiglio si rimetterà presto dall’intervento d’urgenza al cuore, avrà davanti a sé tutto il tempo per affermare un suo stile di governo. Quello di un renziano gentile che ascolta i consigli del Quirinale, che sa comportarsi con diplomazia negli incontri internazionali, che può porre rimedio a qualche errore (ai più marchiani) di chi lo ha preceduto. Un sondaggio della Stampa afferma che il governo Gentiloni, pure nato nel cono d’ombra dell’ex premier e del Giglio Magico, può già contare sul 40% dei consensi, che un 48% augura a Gentiloni di governare fino a giugno, per tutto il 2017 o addirittura di concludere la legislatura. Per occuparsi di “lavoro, occupazione, crisi economica” (Il 39% vorrebbe, invece, che si votasse subito). Infine, sempre stando al sondaggio, un mestierante ex dalemiano della politica (e questo è il Ministro dell’interno Minniti) si sarebbe già guadagnato un 66% di “mi piace”. Il confronto con Alfano lo fa apparire un drago. Per Renzi una lunga traversata del deserto.
Super liberismo, ma in un paese solo. Donald Trump si è presentato alla stampa. Vuole abolire la riforma sanitaria di Obama, vuole che le imprese made in USA sfruttino dipendenti americani, che il Messico paghi un muro per fermare l’immigrazione. Vuole fare accordi con Putin (anche se ora ammette che il Cremlino possa aver dato una “manina” agli hacker), accusa i democratici di aver esposto l’America su troppi fronti e con troppe contraddizioni, consentendo all’Isis di diventare una minaccia maggiore. Boh! Per ora è un libro dei sogni. Un super potenza ma sulla difensiva. Un super falco del capitalismo, il più rapace, ma a condizione che i falchetti restino nella voliera americana. Difficile che funzioni. La teoria del socialismo in un solo paese non fu un successo. E il muro alla frontiera sud non servirà a nulla fin quando il proibizionismo gonfierà i profitti (e sosterrà l’arroganza armata) dei narcos, che lucrano (e si coprono dietro) il traffico delle braccia. Per non parlare della Cina, che possiede un terzo del debito americano e produce iPhone e prodotti ad alta tecnologia.
Repetita. Quello che mi colpisce della figuraccia grillina in Europa è che i 2 parlamentari dissenzienti starebbero migrando uno nel gruppo verde, l’altro in quello della Le Pen. Non vi pare chiaro, ormai, che la Casaleggio Associati non basta e che il Movimento dovrà dire, innanzitutto ai suoi, che cosa vuole e insieme a chi vuole farlo? Sergio Staino, vecchio simpatico stalinista, stavolta si è incazzato. L’unità non serve più (alla campagna elettorale del Renzi) e quindi licenzia e chiude. Caro Sergio, come vedi dietro la rottamazione non c’era niente, se non comitati d’affari e ambizioni. Luigi Ferrarella segnala lo strano caso del Senatore Albertini, il quale qualche anno fa aveva accusato il procuratore Robledo di usare “metodi nazisti”. Denunciato e poi inquisito, aveva chiesto per tre volte la protezione del Parlamento Europeo, di cui faceva parte, e per tre volte la sua richiesta era stata respinta. Eletto al Senato, aveva chiesto protezione in quanto (ora) senatore ma il Senato si era, ovviamente, dichiarato incompetente. Martedì invece – dicono i cattivi anche dopo il generoso impegno di Albertini per il Sì referendario – la maggioranza si è inventata l’insindacabilità con effetto retroattivo. Da non credere. Ho fatto io la dichiarazione in Senato, a nome di Sinistra Italiana, contro questa “politica (per dirla con Ferrarella) che invade il campo della giustizia”.