Tel Aviv, il terrore nel pub. “Arabo israeliano – scrive il Corriere – spara: due morti, 7 feriti. Il padre lo riconosce e lo denuncia”. Vorrei che vi soffermaste su questa notizia. Un pub frequentato da omosessuali in una delle città più libere e libertine al mondo. Un arabo israeliano – non un palestinese che ha sempre vissuto nei “territori occupati” – che si sarebbe radicalizzato nel 2006, “dopo l’uccisione del cugino in uno scontro con la polizia”.
29 anni, era “seriamente disturbato, dice ora l’avvocato. Già stato in prigione, senza più lavoro. Le telecamere di sorveglianza mostrano un uomo che non grida, esplode con calma una trentina di colpi, lascia lo zainetto, con dentro un corano, e fugge via. Dal poco che sappiamo, il suo identikit non è troppo diverso da quello di Syed, che a dicembre ha sparato in California, o di Salah, il kamikaze che a Parigi non si è fatto esplodere. Se Daesh non lo aveva ancora reclutato, prima o poi l’avrebbe fatto. Questo tipo di disagio (e di barbara rivolta) è un prodotto derivato del trionfo della mondializzazione. Finché giovani donne e uomini giovani si sentiranno trattati come “scarti”; e finché ci terremo, tra Iraq e Siria, un santuario dell’anti mondializzazione che promette il ritorno ai fondamentalismi del medio evo, avremo altri attacchi come questi. Contro le nostre belle città e le nostre libertà.
Jihad, la mappa degli espulsi porta in Albania e nel Balcani, scrive la Stampa. Pare che venissero da quei luoghi i 65 che il Viminale è riuscito a rimpatriare, ritenendoli terroristi. Notizia e titolo dovrebbero ricordarci come nei Balcani, sotto la regia di Madeleine Albright, con l’appoggio di Papa Wojtyla e il supporto logistico persino del governo D’Alema, abbiamo usato la Jihad islamica contro il nemico serbo e per umiliarne il protettore russo.
Presidenti e dittatori. In Polonia i direttori della Tv pubblica si sono dimessi contro una legge, voluta dal premier Kaczynski e approvata l’ultimo giorno dell’anno, che dà al ministero del tesoro il potere di nomina dei dirigenti della televisione, abolendo i concorsi. Una legge analoga l’aveva fatta Orban in Ungheria. Abbiamo così in Europa due paesi che, al passo dell’oca, tornano al fascismo. Il perchè è semplice: la liberazione dall’oppressione sovietica ha liberato quei popoli anche dai sensi di colpa per la persecuzione degli ebrei, ridando fiato a un nazionalismo identitario. L’Europa non ha neppure provato a imporre i suoi valori.
Erdogan ha citato la Germania di Hitler, come esempio di presidenzialismo capace di mantenere un modello unitario di stato che sia capace di governare (in Turchia) più popoli e diverse nazioni. Erdogan tornava da Ryad, dove aveva stretto alleanza con l’Arabia Saudita per meglio contare nel dopo Isis. Cioè per combattere, in nome dell’integralismo sunnita, contro curdi, sciiti e russi. Come meravigliarsi se poi Putin dice che il problema è la Nato?
Unioni civili, scontro sulle adozioni, “spunta l’ipotesi di un super affido” scrive Repubblica. La pattuglia teo-con tra i senatori Pd (Stefano Lepri, Emma Fattorini) starebbe trattando un emendamento con la renziana Rosa Maria Di Giorgi, tagliando fuori – si capisce – la relatrice Cirinnà e il mio amico Del Giudice. Vorrei ricordare alla Di Giorgi e, qualora mi leggesse, anche a Renzi con quali motivazioni la Suprema Corte ha detto sì ai matrimoni (non unioni civili) negli Stati Uniti. Perché la libertà di scelta nel matrimonio fonda l’autonomia dell’individuo. Perché alle coppie dello stesso sesso non può essere negato lo stesso diritto delle coppie eterosessuali a “quella intima associazione che chiamiamo matrimonio”. Perché senza “il riconoscimento e la stabilità del matrimonio” i figli vivono in una famiglia minore, “soffrano e sono umiliati”. Perché, infine, “il diritto di sposarsi non può essere condizionato alla capacità (della coppia) o all’impegno di procreare”. La Corte suprema non è di sinistra.