Il Corriere s’è trasferito in America. Titolo d’apertura in prima, articoli e commenti fino a pagina 5 poi, in coda, un dossier di altre 8 pagine. Antonio Polito si chiede quali auspici nerissimi sul destino della nostra democrazia verrebbero diffusi, se fosse capitato da noi quello che è accaduto in questa nerissima e amarissima campagna presidenziale americana. Vero. Facciamocene una ragione. La democrazia è in crisi perché la crisi ha cambiato in modo radicale e probabilmente duraturo l’umore del ceto medio, che diventa sempre più critico nei confronti della politica, che tradisce sempre più spesso i partiti storici e mette in crisi il bipolarismo. Davanti a un tale fenomeno e alle ragioni che lo hanno provocato – crescita delle disuguaglianze, mondializzazione, destrutturazione dei diritti acquisiti e delle garanzie – le élites sia di destra che di sinistra si sono chiuse a riccio, hanno tentato recuperi populisti, scaricato sul popolo scelte che il popolo si aspettava dai loro rappresentanti, incattivito il conflitto politico fino a farlo sembrare uno scontro di civiltà. Dalla Boschi che mostra alla Leopolda lo scalpo dei nemici – Travaglio e D’Alema – a Trump il quale avverte che non riconoscerà l’eventuale successo della Clinton. Così stanno le cose. Perciò è indispensabile rompere l’incantesimo e tornare a far politica tra la gente – politica, non comizi -, dicendo la verità, ancorché scomoda, indicando con chiarezza le scelte, ascoltando, facendo sintesi.
Clinton è in testa, ma troppi stati appaiono in bilico. A due giorni dal voto appare difficile, ma non impossibile, che Trump ribalti il risultato. Se la Florida, se il Nord Carolina, la Pennsylvania, il Nevada… Ma New York Times spiega che nel voto anticipato – che riguarda tra un quarto e un terzo dell’elettorato – i Latinos sono corsi alle urne negli stati in cui Trump rischiava di vincere. Se questo significasse che le minoranze sono disposte a dare un voto contro, per fermare lo sbruffone prima che possa fare danno, Hillary allora potrebbe dormire sonni tranquilli. Intanto il nervosismo nel mondo di sopra appare fortissimo: dalla notizia che hacker della Cia hanno violato i sistemi più segreti della Russia per impedire eventuali ingerenze di Putin nel voto americano, alla paura di attentati – i servizi segreti hanno portato via di peso Trump dal palco di un comizio in Nevada -, a Obama che si infuria quando durante un suo comizio una trans gli ha urlato “sei l’anticristo”. Nel mondo di sotto la metropolitana di New York era strapiena, oggi domenica, di gente che sorrideva, le svendite delle grandi firme, affollate da chi compra quel che non potrebbe. Le elezioni sembravano lontane.
Cuperlo è tornato. Un grido di gioia s’è levato alla Leopolda. Ha firmato, con Renzi, l’impegno di cambiare l’Italicum. Voterà Sì al referendum. Felici. Ma di cosa? Se non ho capito male Renzi avrebbe sottoscritto i seguenti impegni: addio al sindaco d’Italia (abolizione del ballottaggio), la sera del voto non si avrà la certezza di chi governerà per 5 anni (il premio di maggioranza sarà “ragionevole” dunque più contenuto), i deputati saranno eletti nei collegi (non più nominati dal segretario o eletti grazie alla vittoria di questi nel ballottaggio), quanto ai senatori una nuova legge dovrebbe dare al popolo il potere di sceglierli (contraddicendo l’assioma Boschi-Finocchiaro dell’elezione di secondi grado ma anche, ahimè, l’articolo 2 della riforma. Per cui è prevedibile un intervento della Consulta). Se questa “paginetta fumosa”, come l’ha definita Speranza, trovasse mai attuazione, metà della riforma agognata da Renzi se ne andrebbe in fumo. Resterebbe il bicameralismo confuso, l’assurdo di consiglieri-senatori che fanno il doppio lavoro ma con l’immunità, il furto di competenze alle regioni, non per quelle a statuto speciale i cui poteri, anzi, si rendono perenni. Un altro piccolo sforzo, spingiamo alla vittoria il No il 4 di dicembre e del renzismo si salverà solo Renzi, inchiodato alla poltrona fino alle prossime elezioni politiche che, con questi chiari di luna, si terranno il più tardi possibile, cioè nella primavera del 2018. Più che nuocere alla causa referendaria, mi pare che la scelta di Cuperlo metta in mutande il premier. A noi il suo sacrificio costerà forse qualche voto, a Renzi la faccia.
Vergognoso che si salvino le banche e non le persone, ha detto Bergoglio Papa, questa “È la bancarotta dell’umanità”.“Emergenza migranti, l’ira del papa”, ha titolato la Stampa. Ma a me sembra che quella frase parlasse anche di poveri, di precari sotto pagati,di giovani senza lavoro. Persone esposte al ricatto, colpite nella loro dignità. Il pensiero neo liberista è osceno. Ha potuto reggere ai tempi di Clinton, perché è sembrato, allora, che fare soldi coi soldi potesse riempire le pance di noi occidentali, sollevarci dal lavoro operaio ma sfamarci con i guadagni in borsa, farci diventare imprenditori di noi stessi, portarci a vivere il non-lavoro ma il sì-consumo. Poi la bolla s’è sgonfiata. E sono rimasti i soliti noti a gridare che tutto va bene, mentre va piuttosto male. Il papa non è marxista, solo non è cretino.