Lento disgelo e prove di pace, per Corriere e Repubblica. Per la Stampa, “Berlino gela Roma sui conti pubblici”. Per il manifesto Renzi “sbatte sul muro”. Secondo il Giornale “fa flop: non incassa la flessibilità e cede pure sull’immigrazione”. I cronisti cercano di interpretare il non detto: “Matteo fa lo splendido dissimulatore dinanzi agli sguardi di pietra di Angela”, scrive il Feltri della Stampa, Giannelli mostra cancelliera e premier scarmigliati, come dopo una rissa, ma che rassicurano: “l’incontro è andato benissimo”. Come scrivevo ieri, tutto era scritto. Flessibilità: silenzio della Merkel, presunta neutralità nel match con la commissione, che vuol dire “sbrigatevela con loro”. Sui soldi alla Turchia per tenersi i migranti, Renzi ha ceduto ma in cambio Merkel ha detto di voler inglobare l’Italia nel gruppo dei paesi fondatori, quelli che vorrebbero salvare Schengen. Patto di consultazione tra Roma e Belrino (una telefonata preventiva) per prevenire ulteriori italiche intemperanze. Insomma, “Aristotele e Machiavelli”, come scrive Bonanni su Repubblica: “Ciò che (Machiavelli- Renzi) porterà a casa (dall’incontro con Aristotele Merkel), avrebbe probabilmente potuto ottenerlo anche seguendo più consuete vie diplomatiche. Battendo, magari, i pugni sul tavolo. Ma a porte chiuse, come si usa in famiglia e tra amici”. Dunque, gesticolazione assai poco utile.
Danni collaterali. “In una lettera anticipata dall’Huffington Post – scrive Massimo Gramellini – duecentotrenta giovani diplomatici esprimono a Renzi il loro «disorientamento» (traduzione: incazzatura, ma sono pur sempre diplomatici) per la nomina ad ambasciatore presso l’Unione Europea di un politico amico suo, il viceministro Calenda”. Tutti i giornali riprendono la notizia, Gramellini constata come “Renzi dia troppo spesso l’impressione di scegliere le persone in base all’amicizia e alla fedeltà” e insinua che potrebbe persino perdere il referendum plebiscito. Non è proprio così, sostiene sul Corriere Nando Pagnoncelli, i sì sarebbero in vantaggio, 21% contro il 16% dei no e il 9 di indecisi, ma la maggioranza abbondante, il 54% non andrebbe al voto e un italiano su due pensa che non si tratterà di un vero referendum costituzionale ma bensì di un voto (di un plebiscito) sulla politica di Renzi.
Unione civile tra Renzi & Alfano, il Fatto insiste sul rimpasto di governo e nota come il Nuovo Centro Destra si sia accaparrato “una poltrona ogni 4 parlamentari”. Poi spiega: “il placet dei centristi fondamentale per il ddl Cirinnà, che slitta ancora. Oggi il premier conterà la piazza del family day”. Ieri pomeriggio ero andato a Sky pomeriggio per presentare il nuovo numero di Left – “Contro i diritti”, titolo di copertina, centrato sul family day – e mi sono trovato fra Schifani e Rosa Maria De Giorgi, renziana della prima ora. Erano d’accordo su tutto, sulla difesa a spada tratta del neo-vice-ministro Gentile – fulmini su Liana Milella che ne aveva criticato la nomina -, sul fatto che il rimpasto sia naturale e rafforzi il governo, sull’attacco alla Cirinnà (che pure è del Pd) perché osa difendere l’adozione del figlio del partner omosessuale. Mi si è rafforzata la convinzione che il trasformista Renzi si stia mangiando ogni alleato, li stia condannando all’irrilevanza e perciò debba indennizzarli con le poltrone. Contemporaneamente il Pd scompare e fa posto al partito della della nazione.
Far bere il cavallo, questo è l’imperativo delle banche centrali. Tokio ha varato ieri tassi negativi (ti pagano per accettare i prestiti) e le borse hanno gradito. Anche perché, di venerdì, chi ha giocato al ribasso di solito ricompra a prezzi convenienti. I dati dell’economia dicono che la ripresa americana rallenta: +0,7% nel quarto trimestre. Che in Spagna è tornata la crescita, +3,2% nel 2015 (ma la crisi ha distrutto così tanti posti di lavoro e sfrattato così tanti inquilini, che gli spagnoli non sembrano soddisfatti), che la Francia sta un po’ meglio dell’Italia +1,1% contro il nostro +0,8. Renzi assicura che nel 2016 saremo noi la locomotiva.