Ho imparato da ragazzo che il Parlamento va rispettato e che, dentro il Parlamento, sarebbe bello che ci rispettasse. Penso che il rispetto reciproco imponga un certo ritegno a intervenite ciascuno nelle vicende dell’altro. E tuttavia anche l’indifferenza reciproca mi parrebbe un errore.
Desidero perciò dire due parole ai colleghi del Movimento che, secondo tutti gli osservatori, ha vinto le elezioni di Febbraio, e dunque ha attirato su di sé tutti i riflettori. Io ho rispetto per il loro travaglio. Non è facile crescere così rapidamente, affrontare responsabilità nuove, rispondere a un’attenzione dei media ovviamente esasperata dalla novità che, nella politica italiana, d’un colpo, si è venuta a creare. Ma con questo rispetto dico a questi colleghi, dico a voi Senatori del Movimento 5 Stelle, che non mi convince l’uso che state facendo della Rete.
L’esclusione di una esponente dal gruppo è un processo doloroso, si può essere d’accordo o no. Ma quando si chiede, e si ottiene, una sorta di giudizio di Dio in Rete, allora credo, cari colleghi, che si rischi non di escludere ma di linciare. I processi dell’Inquisizione avevano bisogno della folla, che non aveva pane e mangiava invidia : questa folla accompagnava il condannato al rigi. E al tempo della Grande Rivoluzione divennero famose le tricoteuses, che facevano la maglia, all’ombra della Ghigliottina. Oggi, invece, si viene chiamati a scaricare il proprio umore con un tweet, con un post, e, così facendo, a esprimere una sentenza in rete. Pensateci.
La democrazia da Atene a Roma ha sempre avuto bisogno di regole, di voti segreti quando si tratta di giudizi che investono le persone, di pesi e contrappesi, di responsabilità da parte di chi decide. Se posso chiudere con un consiglio non richiesto, inserite (inseriamo) in Rete il germe (creativo) del dubbio. Alla rete non chiediate certezze né tanto meno di condividere responsabilità che devono restare nostre (o vostre).