Ora la colpa è della Germania. Matteo Renzi che ancora a luglio si presentava come allievo prediletto della Merkel e infieriva con un tweet su Tsipras -tutto documentato in “Lezioni di Greco”, di Mineo, Cofferati, Cuperlo, Fassina, Tocci, imprimatur editore- , oggi dice che “il prevalere della linea tedesca del rigore è un regalo ai populisti”. “É come se Renzi -nota Stefano Folli su Repubblica- avesse colto il messaggio in arrivo dalla Francia e temesse il contagio, ma senza disporre degli strumenti per agire con efficacia sui “partner” europei. In termini politici, questo si chiama restare in mezzo al guado”. Dimentica il nostro premier che Manuel Valls ha fatto le sue stesse politiche (bonus fiscali, meno regole per gli imprenditori) sperando, invano, che arrivasse un forte vento di ripresa. E finge di ignorare quel che dice del voto di domenica la stessa Marine Le Pen: “è la rivolta del popolo contro le élite. Il popolo non sopporta più il disprezzo in cui è tenuto da anni da una classe politica che cura i propri interessi e non difende in nessun modo gli interessi della popolazione”. Di quali élite si parla? Ma del Ghota nel nuovo socialismo! Gente come Gordon Brown che -scrive Financial Times- cambia verso e da “ascetica figura della vita pubblica britannica”, Cancelliere dello Scacchiere (di Blair) e poi Primo Ministro, si trasforma in advisor board (strapagato) nella Pacific Investment Company Management, sotto la tutela di Ben Bernanke.
L’eau de Vichy -come titola il manifesto– semina panico tra i commentatori. Il più contraddittorio mi sembra oggi Aldo Cazzullo, Corriere, che dopo aver notato come siano “gli elettori affamati di identità” conclude che servirebbe una grande ammucchiata, contro le barbare Le Pen, o almeno un patto di desistenza. In salsa italiana, Berlusconi dovrebbe far confluire i suoi voti su Renzi, al secondo turno, per evitare che a Palazzo Chigi si insedi Di Maio. Ma non desiste neppure Sarkozy, che manterrà domenica prossima tutti i candidati, per quanto battuti possano apparire. E non desiste perché ha costruito l’intera campagna (per le presidenziali) sui temi dell’estrema destra. Così come Berlusconi fa e farà di tutto per allearsi con Salvini e Meloni. Quanto a Valls rinuncerà ai candidati solo in tre (o due) regioni, quelle dove è quasi certa la vittoria Le Pen. Si tratta di una mossa tutta politica, perché domenica vincerà chi avrà più voti (tra 3 o 4 o anche 5 candidati) e le sinistre unite possono contare su una riserva di voti superiore a quella dei repubblicani e del Front National singolarmente presi. Insomma quella di Valls è più una mossa anti Sarko che anti Le Pen. Se ne accorge Marc Lazar che, per Repubblica denuncia lo “strano argine dei due rivali”. Trai commenti, intervista al Corriere di Enrico Letta, che definisce “controproducente” l’ammucchiata anti Le Pen, osserva come “il terrorismo non abbia spostato nulla” perché il voto di domenica viene da lontano ed “è un no radicale alla politica tradizionale, fatta di riti, di vecchi linguaggi e di élite”. “La gente – conclude- ce l’ha con le élite”. Non l’ho apprezzato come premier, trovo onesto e acuto l’Enrico Letta analista politico.
Che fare con queste signore Le Pen? Intanto sostenere Hollande contro Daesh (che non vuol dire necessariamente bombardare); perché se i francesi vedranno in televisione i mandanti della strage di Bataclan costretti a scappare da Raqqa e Mosul, sarà probabilmente proprio Hollande a vincere le presidenziali del 2017 -quando si voterà con un vero doppio turno, non con surrogati tipo Italicum o la stessa legge elettorale per le regionali francesi. In secondo luogo dovremmo tutti ascoltare con umiltà la lezione di Iglesias (Podemos), di Tispras (Syriza), di Corbyn (Labour), di Sanders (sfidante democratico della Clinton). Ognuno di loro dice a suo modo: basta con la sinistra che frequenta i salotti buoni della finanza e poi si fa finanziare (vedi Schöder e Brown), basta con la sindrome di Stoccolma per cui i liberisti più anti operai hanno sempre ragione, basta con la sinistra che dice di essere e non fa, che si si presenta come status, elegante e politicamente corretto, ma lontano anni luce dalla gente che soffre e si arrabbia, ma poi cerca e trova la strada.
Come Aureliano Buendía,32 rivoluzioni, tutte perse. Exit in Venezuela anche per Maduro, sfortunato successore di Chavez. Ha perso le elezioni politiche contro un cartello delle opposizioni, l’esercito lo ha convinto ad ammettere la disfatta, un referendum potrebbe costringerlo a lasciare la presidenza. C ‘è molto di più, dietro questa notizia, che la fine di un’esperienza, forse generosa ma piena di errori e spropositi anti democratici, come quella venezuelana, In Argentina ha già vinto la destra contro il peronismo dei Kirchner, in Brasile Dilma Russeff è sotto impeachment e appare impotente di fronte alla recessione. Un intero continente rischia di riaffidarsi alle ricette (fallite) del neo liberismo. E la la spinta gliela sta dando la “guerra mondiale a pezzi” come l’ha definita il Papa. Sì, il conflitto regionale e ideologico tra monarchie sunnite (wahabite, salafite) e regime iraniano (sciita), conflitto che insanguina lo Yemen e, per procura -cioè usando i fanatici del Califfo- Iraq e Siria. Il barile di petrolio è sceso a 37 dollari -spiega Financial Times- per la guerra dei prezzi tra Arabia Saudita e Iran. Insieme crollano i prezzi delle materie prime, si apprezza il dollaro, nei paesi emergenti costano di più i beni di consumo durevoli (ambiti da grandi masse inurbate alla ricerca del miracolo economico). La Cina rallenta la locomotiva per non morire soffocata e questo peggiora le cose. Per il terzo mondo e per noi, giacché la loro crisi ritornerà, come stagnazione e disoccupazione giovanile, anche nell’Occidente che oggi festeggia per il basso prezzo delle materie prime. Vi ho annoiato? Pazienza. Senza guardare al mondo, non si può fare politica se non da guitti.