Dal contratto al patto con gli italiani, in un’intervista al TG2 Matteo Renzi ha spiegato che il taglio delle tasse -nel 2016 Imu e Tasi, nel 2017 Ires, nel 2018 Irpef- si può fare solo in cambio delle “riforme”. Prima fra tutte quella del Senato. Che c’entra, vi chiederete, il Senato con le tasse? C’entra. Bei, retroscenista di Repubblica, spiega che il patto è in realtà “un piano per dividere i 25 della minoranza Pd del Senato”, alla fine “non tutti voteranno contro” gli avrebbe confidato Renzi. La retroscenista del Corriere, aggiunge che la “mossa” mira a anche mettere in difficoltà la destra, rubandole un vecchio cavallo di battaglia”.
Quanti rischi si nascondono nel colpo di dadi. Stefano Folli lo chiama proprio così: un colpo di dadi. Il cui primo obiettivo (riuscito) è che si parli “meno dei guai del Pd, delle sconfitte a livello locale e dei personaggi scomodi che lo condizionano (i vari Crocetta, Marino, De Luca)”.Il secondo è di accelerare la trasformazione del Pd nel “partito di Renzi”. Il terzo, rubare a Berlusconi -copiandolo- “l’arma atomica del taglio delle tasse”. Ma è sempre un colpo di dadi, “con tutte le incognite del caso”. Deaglio, Stampa, ricorda gli infausti precedenti: “nel 94 berlusconi si impegnò a creare un milione di posti di lavoro, nel 2013 i milioni promessi sono diventati 4. Nel 2001 lo stesso Berlusconi aveva firmato in diretta televisiva un «contratto con gli italiani». Poco si è realizzato e il rischio è che succeda lo stesso col patto renziano
Crollate le verifiche fiscali, titola in prima pagina il Corriere della Sera. Mentre servirebbe recuperare tanti per tagliare ben 50 miliardi di tasse, l’agenzia delle entrate si è vista annullare dalla Consulta parecchi “incarichi dirigenziali illegittimi”. É entrata nel pallone, dimezzato i controlli, e ora rischia un buco da 5 miliardi. “Lo faccia il taglio delle tasse”, dice Landini al premier via Repubblica, ma senza toccare “sanità e servizi”. “C’è prima casa e prima casa”, dice Visco, sempre a Repubblica. Quelle dei ricchi sono denaro sonante ed è giusto tassarle.
Torna il “golpe”, ma non si sa chi sia il Pinochet. Il sulfureo -così lo definii e mal me ne incolse, mi diede del killer venuto dall’est- il sulfureo Renato Crocetta occupa le prima pagine dei quotidiani siciliani: “Non mi dimetto, sono un combattente pronto a morire sulle barricate”. Si considera “vittima di un complotto ordito per fermare il primo governo che ha fatto la lotta alla mafia in Sicilia”. Un golpe dei “servizi segreti deviati” combinato, pare di capire, per compiacere il Pd. Donde la sfida: “se il Pd vuole cacciarmi, mi sfiduci”. Il Pd ci pensa ma per ora l’unico a dimettersi da deputato regionale è stato Fabrizio Ferrandelli, per chiedere – se non capisco male- l’azzeramento dei vertici e dei gruppi del suo partito. Unica condizione per presentarsi ai siciliani senza vergogna, dopo 2 anni di lite in casa per il potere
Davvero, dispiace che Crocetta finisca tanto male. Prigioniero della propria narrazione:operaio, omosessuale, comunista, sindaco anti mafia, presidente che promette ai siciliani una rivoluzione. Purtroppo in 31 mesi ha nominato e dimesso 37 assessori, litigato ogni giorno sui giornali col Pd siciliano, sostenuto imprenditori che mostravano il bollino anti mafia e facevano affari all’antica, riciclato resti politici, magari incensurati ma maleodoranti, delle giunte Lombardo e Cuffaro, freequentato professionisti potenti e arrivisti -come questo Tutino- che sguazzano -in Sicilia non può che essere così- un una cultura mafiosa. Profondo è il fossato tra realtà fattuale e narrazione mitica.
Ma non tutto è perduto. Si dimetta, vuoti il sacco, dica i nomi dei suoi nemici interni, spieghi con quali “servizi deviati” hanno complottato, adduca i motivi di un governare tanto deludente. Salvi almeno l’onore, presidente Crocetta! O taccia, se non riesce a lasciare il potere.