Giulio Regeni aveva appena compiuto 28 anni quando fu rapito al Cairo, il 25 gennaio 2016, nell’anniversario della rivolta di piazza Tahir. Il cadavere fu rinvenuto il 3 febbraio, vicino a una caserma dei servizi segreti egiziani: muscoli spezzati, lettere incise e pelle strappata. Su quel corpo si era accanito “tutto il male del mondo”, disse la mamma, che riuscì a riconoscerlo “per la punta del naso”. Sotto processo a Roma, sia pure in contumacia e dopo il via libera della Corte Costituzionale, un generale, due colonnelli e un maggiore della National Security egiziana. Al-Sisi se li tiene, li protegge perché -non si sa mai- possono servire di nuovo per sequestrare, torturare e uccidere altri ficcanaso. Ieri, con decreto legge, il governo ha dichiarato l’Egitto “paese sicuro”!

Shirel Golan avrebbe compiuto 22 anni domenica. La festa era pronta, ma lei è rimasta a casa. E si è tolta la vita. Il 7 ottobre ottobre 2023 era andata a ballare al Nova Festival, Israele accanto alla striscia di Gaza. 11 ragazzi che ballavano con lei, vennero massacrati dal pogrom di Hamas e della Jihad Islamica. Shirel tentò di fuggire con gli amici, furono ripresi, ma lei sola saltò sull’auto di un poliziotto, che la salvò dai fanatici. Non dai suoi incobi. Dall’aver visto scatenarsi tanto odio. Contro di lei, ragazza spensierata a cui da sempre dicevano che il problema palestinese era stato risolto e il suo Paese un paradiso in terra. Non dal sentirsi sola, giovane israeliana tra israeliani in divisa, coinvolti da Netanyahu in una spirale di guerra, stragi, colonialismo, uso del passato -della Shoah- per descrivere il nemico, donne e bambini, come “animali umani”, parole del ministro della difesa, Gallant. Secondo il fratello, lo Stato non si è presa cura del suo “disturbo post traumatico”. Danno collaterale.

Moussa Diarra era arrivato a Verona dal Mali nel 2016, proprio l’anno in cui Regeni fu ucciso. Da allora chiedeva un permesso di soggiorno, documenti per poter lavorare. Non solo qualche settimana, a raccogliere uva e mele, per pochi euro in nero. Dicono di lui che non bevesse né consumasse droghe. Ma nella notte tra sabato e domenica, qualcosa s’è rotto. Alla stazione, ha urlato, rotto una vetrina, spinto un vigile. Poi, due ore dopo quando tre agenti della Polizia Ferroviaria volevano controllarne le generalità, pare si sia avvicinato brandendo un coltello. Uno dei tre ha sparato tre colpi, l’ha colpito al petto e ucciso. “Con tutto il rispetto non ci mancherà. Grazie ai poliziotti per aver fatto il loro dovere”, ha chiosato Matteo Salvini, Il senatore Gasparri si offerto di difendere l’agente da un eventuale e ingiusto processo. Agente, che il giudice incaricato delle indagini descrive come un uomo sconvolto per la morte di Moussa e che avrebbe agito “per legittima difesa”. Anche se bisogna chiarire che non ci sia stato “eccesso di difesa” e dunque omicidio, sia pure colposo.

Eros Di Ronza, non veniva dal Mali, era italiano. Aveva tre figli piccoli e di mestiere faceva il ladro. Forzata la saracinesca, era entrato di notte in un bar alla periferia sud di Milano. Ne stava uscendo con alcuni rotoli di “Gratta e vinci”. Ma il nipote e il marito della titolare, entrambi cinesi, lo hanno scoperto, inseguito e ucciso per strada. Con venti colpi di forbice. Scena di violenza efferata. I due, 30 e 49 anni, avrebbero subito altre rapine. Ora sono agli arresti domiciliari. Meloni e Salvini non si sono levati a difesa dell’italianità della vittima. Né, per fortuna, hanno chiesto di espellere l’intera comunità cinese. Per i colpi di forbice.

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