O lo poltrona o la faccia, il Giornale riassume così il dilemma un cui si trova Renzi. “Colle in pressing: avanti con Renzi”, spiega Repubblica. Immagino così quello che Mattarella starà dicendo al Presidente del Consiglio dimissionario: “Matteo, mi pare che tu non voglia un candidato Pd che governi con la maggioranza che vi ha appena mostrato la fiducia in Senato. E sai anche tu che un governo con tutti i partiti dentro non è realizzabile. Capisco allora che vuoi tornare a Palazzo Chigi. Bene, allora ti rimando alle Camere!” Già, ma il perdente del referendum, quello che prometteva “se perdo lascio la politica”, ora non sa cosa gli convenga, come spiega bene Stefano Folli: “Da un lato, un po’ per convinzione e un po’ per farsi coraggio, sostiene la tesi che il 40 per cento dei Sì rappresenta un plebiscito per lui e per il partito personale di cui si sente il leader. Dall’altro teme – non a torto – che lontano da Palazzo Chigi e dalle leve del potere la residua magia del “renzismo” sia destinata ad appannarsi”. Tanto più che la Stampa titola: “Renzi sotto assedio nel Pd: patto Franceschini-Bersani-Orlando, scatta la tenaglia”. Meglio gestire lo scontro nel partito da Palazzo Chigi o rischiare che Pd e maggioranza si facciano piacere i modi più educati di un Gentiloni, di un Padoan, di un Grasso, archiviando la logica binaria (“io o il diluvio”) del renzismo?
L’alternativa? Restare per votare subito. Sopportare, con il broncio, la perdita d’immagine, fingere di non sentire i lazzi delle opposizioni per gli impegni traditi, ma per preparare al più presto un sequel della partita referendaria, un altro giudizio di Dio: salvare l’Italia con Renzi e il suo partito o consegnarla a Grillo e a Salvini? Ma è una alternativa che si scontra con i problemi che urgono. Come primo atto il “nuovo” governo dovrà infatti salvare, cioè nazionalizzare, il Monte dei Paschi di Siena. Scelta onerosa e impopolare, la cui responsabilità verrà attribuita per intero al premier. Intanto Draghi ha rimesso in moto il pilota automatico: un altro anno di acquisti da parte della BCE per 60 miliardi (non più 80) al mese. Questo significa che i “mercati” non ci crolleranno addosso e lo spread non salirà alle stelle, ma tedeschi e “burocrati” di Bruxelles chiederanno al governo (Renzi?) di onorare gli impegni presi da Renzi e poi strappati nell’illusione di poter vincere il referendum: rientro dal deficit strutturale, tagli per mettere al sicuro le entrate. Nè è affatto scontato che la Corte ci consegni il 24 gennaio una legge elettorale pronta per l’uso. Al Giornale il presidente emerito, De Siervo, dice oggi che la Consulta potrebbe rimandare la palla al parlamento, non riscrivendo l’Italicum ma obiettando che il ballottaggio trasforma in maggioranza una minoranza esigua e che i sistemi di voto per la Camera e il Senato vanno armonizzati. Insomma: Fate Vobis. Impallidirebbe il sogno di rivincita, di un Referendum 2, la vendetta!
Un esecutivo che andrà oltre la riforma elettorale, lo prevede sul Corriere anche Massimo Franco. In fondo le manovre, per ora ancora sotto traccia, l’agitarsi nel Pd di Franceschini, di Zanda, pare anche del ministro Orlando, dimostrano come solo gli arditi avanguardisti del premier si immaginano che il 40% degli italiani che hanno detto Sì alla riforma voterebbero tutti per Renzi. Tutti gli altri clienti dell’ex uomo forte pensano invece che il ricorso prematuro alle urne sia un suicidio. Ricordano le 3 sconfitte di Renzi: regionali, comunali e referendum. Temono di perdere il posto, senza premio truffa e liste bloccate. E poi, inconfessabile, c’è la norma sulla pensione che scatta, per i molti neofiti della XVII legislatura solo dopo 4 anni e mezzo dall’elezione, cioè a settembre. “Ti abbiamo sempre obbedito, ingoiato ogni rospo e dovremmo ora perdere tutto per la tua ambizione, Matteo?”
Un Pisapia agita le sinistre. Un fantasma targato Repubblica, che lo ha intervistato, poi ha chiesto a Vendola di polemizzare con lui, infine schiera oggi Michele Serra contro “La sinistra che sa dire solo: no,no,no!”. In verità l’intervista dell’ex sindaco di Milano era lunare. Parlava di sinistra che dialoga con il Pd renziano senza una parola sul referendum, sui 19 milioni di No, senza un accenno ai più giovani che hanno rottamato il giovane rottamatore, tacendo di De Luca, degli insulti in rete ai traditori che hanno votato No. E tuttavia avrei preferito che Vendola e D’Attorre, Fratoianni e Fassina lanciassero loro una proposta anziché correggere Pisapia. Una proposta rivolta a tutti quelli che ancora si dicono di sinistra: da Ferrero (Rifondazione) e Civati (Possibile) fino a Bersani e a Cuperlo. Questa proposta: cari amici e compagni confrontiamoci e dividiamoci ora non sulle alleanze (centro sinistra o sinistra senza centro) né sugli strumenti (primarie di coalizione, ricerca di un leader federatore, o di un accordo fra diversi) ma confrontiamoci e dividiamoci sulle cose da fare, su quello che dobbiamo e possiamo proporre. Vogliamo o no un piano straordinario di investimenti per l’occupazione in special modo dei giovani? Appoggeremo i referendum della Cgil contro il jobs act? Ascolteremo gli insegnanti per salvare la non #buonscuola della Giannini? Vogliamo ridare centralità alla lotta contro le mafie e la grande evasione? Se si dovranno salvare certe banche con soldi pubblici, pretenderemo almeno che lo Stato si rivalga sui cattivi amministratori e li punisca? Infine, dopo la vittoria dei No, siamo d’accordo che la futura legge elettorale dovrà ridare agli elettori il potere di scegliere gli eletti e non dovrà invece trasformare, con un premio truffa, in maggioranza una esigua minoranza?
Penso che il Pd non sia riscattabile. Non immagino che 300mila italiani che se ne erano allontanati riprendano la tessera come è successo con il Labour Party. Nè riesco a vedere né in Emiliano né in Pisapia un novello Corbyn. Penso poi che al sud De Luca, Pittella, Crocetta abbiano trasformato il Pd in una casta arraffa clientele. Però non importa quel che io penso. Nell’era in cui tutti i giochi si intrecciano, quando elettori, un tempo di sinistra, possono votare per i 5 Stelle e artigiani, un tempo berlusconiani, provare attrazione per un socialista alla Sanders, serve una sinistra che parli al paese, non che coltivi orti angusti. Che non corra a correggere Pisapia per la gioia del Serra di turno, ma che costringa Pisapia a prendere partito. Serve una sinistra che non si dica pacifista, ecologista, femminista, colta e civile ma che indichi idee e proposte per rendere l’Italia, l’Europa e il mondo più vivibili.
Fuori dal recinto. Assad e i russi stanno vincendo ad Aleppo. Ora Lavrov promette uno stop ai bombardamenti per recuperare tanti più civili ostaggio dei “ribelli” e Repubblica scopre, con Alberto Stabile, che davvero molti di quei civili si sentivano ostaggi nelle mani dei ribelli filo sauditi. Intanto Donald Trump onora a suo modo gli impegni presi con il ceto medio e la working class: promuove un lobbista del petrolio all’ambiente e sceglie un imprenditore, esperto di fast food e tagli ai salari, come ministro del lavoro. E se Theresa May corteggia l’Arabia Saudita, il suo ministro degli esteri, Boris Johnson, l’accusa invece di essere la testa del serpente islamico e terrorista. Si aprono spazi infiniti a una sinistra che voglia far politica. Basta mettere la testa fuori dal guscio e mostrare del coraggio.