È stato un vaffa pazzesco. Credo abbia ragione Beppe Grillo: la vittoria del miliardario somiglia a quella dei 5 Stelle. Dell’ultimo comizio di Trump mi aveva colpito di più il suo insistere sulle bugie di Hillary, del sistema e dei giornali. Vediamole insieme, queste bugie.
La prima menzogna riguarda la crisi. Quante volte avete sentito ripetere che gli Stati Uniti erano fuori dalla crisi? E questo “fatto” serviva di volta in volta per deprecare i lacci e contratti che avrebbero paralizzato la nostra economia o, invece, per esaltare le misure del governo che ci avrebbero portato in America. Invece, anche in America, la ripresa continua sotto altre forme il lavoro della crisi. Le città appaiono più belle e pettinate di prima, ma in realtà si sono trasformate in vetrine per lo shopping e per chi frequenta i musei. A New York il biglietto del subway costa 3 dollari, un pasto 35, le mance si riducono all’osso e i lavoratori dei servizi arrivano la mattina sempre più da lontano. E sono più precari. Però le statistiche dell’occupazione – anche qui sembra l’Italia – dicono altro. Viva, cresce il numero degli occupati, è tornato il lavoro. Ma se l’operaio, divenuto lavoratore dei servizi, ha perso il 20% del suo salario e si sposta di continuo da un impiego all’altro, se non spera più nella promozione sociale per il figlio che studia, allora per lui questa ripresa prosegue il lavoro della crisi. Ah, ma questa è solo la rabbia degli ex operai bianchi, novelli panda. Non è vero!
Si dice l’America delle minoranze. Ricordate? Gli ispanici che avrebbero votato contro Trump, i neri per Obama, le donne per la Clinton? Sì certo, avvocate di successo, docenti universitarie, giornaliste femministe e signore della borghesia nera avrebbero preferito Hillary. Ma le giovani donne di colore, madri e lavoratrici sfruttate, come i loro figli che passano troppo tempo in strada (una volta la moglie di Bill li definì “super predatori”) e che rischiano la vita se si imbattono in un poliziotto che ha paura della loro pelle nera, molti di questi black non hanno votato o erano così arrabbiati per le false verità profuse dai media da aver scelto Donald. Tanto peggio di così non può andare. Quanto alla bufala delle donne che avrebbero rotto “il tetto di cristallo” portando la prima donna, come presidente, alla Casa Bianca, credo che si siano infrante su un discrimine di classe. Le donne della borghesia intellettuale e coltivata, quelle che primeggiano negli uffici legali e nelle aziende hi-tech, che si sentono protette, e talvolta persino soffocate, dal politicamente corretto post femminista, che sanno di poter essere favorite in ogni causa di divorzio, quelle, certo, dovrebbero aver provato disgusto per il candidato Donald. Ma se esci dalla bolla, trovi un esercito di madri e di figlie che subiscono più volte al giorno apprezzamenti assai più pesanti da quelli che Trump ha usato in pubblico e in conversazioni che credeva private. Incontri le donne che sono vittime della reazione del ventunesimo secolo (maschilista, islamico radicale, fondamentalista cristiana) reazione che imputa a loro, alle donne, la “colpa” della crisi della famiglia patriarcale, quella che è scritta in tutti i libri delle religioni monoteiste. Pensate davvero che queste donne considerino la Clinton la loro torre da seguire ed imitare? Piuttosto una parte di loro diffida da chi ha avuto, con dovizia, tutto ciò che a loro sarà negato. Quanto agli ispanici, ma per favore! Come si è visto nel voto della Florida, sono ispanici molti immigrati recenti, che temono la concorrenza e sperano nel salto di classe grazie alla deregulation.
C’è poi la menzogna in persona: Hillary. La Clinton che tiene conferenze a porte chiuse per le multinazionali che la finanziano. L’apparato democratico che ha truccato le primarie contro Sanders e che, una volta scoperto da wikileaks, ha accusato (e fatto accusare dal governo) presunti hacker al soldo di Putin. C’è l’ossimoro di una ex Segretario di Stato, perciò alla guida della guerra all’Isis ma che con la la fondazione Clinton continua a prendere bei soldi dall’Arabia Saudita. E come moglie, poi, Hillary ha taciuto sui tradimenti di Bill, ha protetto il marito quando era il presidente e non lo ha lasciato dopo, riprendendosi la sua libertà. Una donna che dissimula per tenersi un brand considerato vincente. Insincera, dunque inaffidabile. Trump, al contrario, si è presentato per quello che era: un venditore di specchi che ha fatto soldi e poi è fallito, ha fatto di nuovo soldi eludendo le tasse, e non è più fallito perché aveva tanti debiti che la sua caduta sarebbe stata un problema. Invece di fare la predica in tv – quanti problemi signora mia, li risolveremo – Donald faceva televisione per celebrare se stesso. Ora promette di dedicarsi agli altri dopo avere fatto bene i suoi affari.
E c’è poi la menzogna di sistema. Perché tutti i giornali hanno sostenuto la Clinton e tutti i sondaggi la davano vincente? Semplice. Perché dal 1989 Gli Stati Uniti, come il resto del mondo, sono rimasti nella galera della loro stessa ideologia. Una forma della democrazia, bipolare e maggioritaria, è stata presentata, dalla narrazione prevalente, come la forma necessaria della democrazia. La sola in grado di coniugare rappresentatività e governabilità. Lo sappiano bene anche noi. Quante agenzie di rating e quante banche d’affari ci hanno chiesto di smantellare le costituzioni mediterranee, che sarebbero giurassiche perché scritte sulla scia della resistenza anti fascista! Ma quel sistema, bipolare e maggioritario, ha funzionato bene nella seconda metà del secolo scorso, quando grazie alla lunga pace americana il ceto medio nutriva una ragionevole fiducia nel futuro e le sinistre (anche quelle comuniste) diffidavano dell’URSS e si tenevano strette all’occidente. Dopo la caduta del muro di Berlino e quando si annunciava una crescita impetuosa dei Brics, quella forma della democrazia ha resistito ancora per un ventennio, consacrando il successo delle terze vie socialiste che avrebbero adeguato gli spiriti guerrieri del neo liberismo alla fine della guerra fredda. Bill Clinton (presidente dal 93 al 2001), Tony Blair (premier dal 1997 al 2007), Lionel Jospin (1997- 2002), Gerard Schöder (1998- 2005), Romano Prodi. Poi è andata in pezzi, la destra diventava sempre più fondamentalista (già dimenticato il Tea Party, e il caso Terry Schiavo sfruttato da Bush?), la crisi sopraggiunta nel 2007 che friggeva i sogni del ceto medio, la disgregazione delle garanzie e del welfare che affliggeva lavoratori e famiglie. Oggi non c’è più il centro che, moderando, sceglie il vincitore, oggi non tiene più nessuna conventio ad excludendum, e con le ideologie (comunismo, anticomunismo) è entrato in crisi il discrimine destra sinistra nella versione (fragile) di cui parlò Bobbio. Pensate alla Spagna, alla Francia, alla Gran Bretagna e a queste elezioni americane con Sanders vincitore morale tra i democratici e Trump che ha travolto il Partito Democratico. I sondaggi cercano ancora il centro, cercano l’americano che considera l’America come la terra promessa, nuova Gerusalemme. E invece trovavano frammentazione, la protesta di chi sta in basso contro chi abita i quartieri alti. E prendono (i sondaggi) continui abbagli. Anzi, diffondono bugie.
I giornali e la perdita della loro terzietà. Vi siete chiesti da dove venga l’ideologia del giornalismo che si auto definisce “indipendente”, quello degli Alan Friedman che si deve che sbava per la Clinton ma mai direbbe che cosa ha votato? Quello della Rai che mi considerava un intruso, perché dicevo cosa sono e cosa penso per meglio capire le notizie e cosa pensino gli altri? Bene, quel mito (del giornalismo terzo) viene da un tempo in cui la forza dei giornali americani si fondava sulla cronaca locale. Quando i giornalisti consumavano le suole, come poliziotti o detective della Pinkerton nei romanzi di Hammet. Giornalisti “testimoni”, che entravano a casa della vedova e rubavano la foto del morto. E che quando si miravano con il politico, repubblicano o democratico, lo giudicavano con l’occhio del cronista. È finito quel tempo. Giornali e televisioni oggi “interpretano” l’interesse nazionale, creano (cercano di creare) opinione pubblica, non si limitano a rifletterne i punti di vista. Altro non posso fare perché la società è frammentata, perché in tempi di crisi il business e la grossa pubblicità dettano legge nelle redazioni, perché il giornalista garantito frequenta, ormai a tempo pieno, finanzieri, industriali, uomini di governo, e non perde un cocktail della upper class. Allora è perfino naturale che tutti i giornali americani abbiamo scelto i Clinton, che sono il sistema. E si confortati, poverini, quando hanno visto che anche Bush, o il portavoce repubblicano Paul Ryan, non sopportavano Trump. Come in Italia. Corriere, Repubblica, Stampa hanno metabolizzato la scelta “americana”, la considerano indispensabile per la nostra democrazia. La Rai ha capito che sono tornati , con Renzi, i tempi in cui conveniva – nell’interesse della nazione, s’intende – predicare l’ottimismo fattivo dei governi democristiani. Quanto a Mediaset pensa che al posto del rottamatore potrebbe esserci – e forse presto ci sarà di nuovo – il loro stesso editore. Che volete che raccontino? La loro verità, che è una bugia.
Diffido i soliti noti a dire, ora, che sono contento per la vittoria di Trump. Mi fermo qui solo perché è tardi e un pezzo non può essere lungo come un trattato. Stasera, o al massimo domani, scriverò quali disastri mi aspetto dal nuovo presidente degli Stati Uniti e quali opportunità penso che la sua vittoria lascerà comunque all’Italia e all’Europa.