America, la grande paura, titolo di Repubblica a tutta pagina. “Votate Hillary come avete votato me”, l’appello di Obama questa notte a Philadelphia. Manifestazione entusiasmante e drammatica, con Jon Bon Jovi e Bruce Springsteen, Michelle e Barack Obama. Candidata e Presidente, the boss e la sinistra americana tutti uniti intorno ai valori che il partito democratico spesso ha predicato e talvolta persino realizzato: tolleranza e accoglienza, diritti civili e almeno una chance per chi non ha chances. Il presidente degli Stati Uniti sembrava il capo della campagna per la candidata: “una combattente, una nonna (cioè una di noi), la nuova presidente degli Stati Uniti”. E lei, Hillary, ha promesso di ricordarsi delle parole pronunciate da ognuno dei suoi straordinari supporter. Tra i quali, assente a Philadelphia, ma presente nella campagna, non si può dimenticare Bernie Sanders. Hillary ha promesso di non tradire nessuna delle promesse fatte in suo nome, ha promesso di essere la Presidente di tutti, di difendere quella certa idea dell’America che ne ha fatto una società aperta. Trump è il contrario, un miliardario diventato tale facendo debiti e passando da una bancarotta vera a una minacciata, un candidato che vuole rinchiudere gli Stati Uniti dietro un muro invalicabile, umilia le donne, insulta i musulmani, sfrutta la paura del futuro.
Qualcosa di mai visto, questa commovente manifestazione finale democratica. Ma proprio questo dà il senso del rischio, del dramma vero che l’America sta vivendo. La candidata scelta dall’apparato del partito, perché avrebbe dovuto vincere a mani basse, ha rischiato (se non rischia ancora) di perdere. Perché il partito, e non solo Hillary, non aveva capito fino a che punto fosse cambiato il paese, come la disillusione della middle class stesse diventando rabbia, e quanto radicale fosse il distacco dei millennials, pronti a seguire un vecchio e onesto “socialista” e non la politica di professione, apprezzata da multinazionali e Wall Street. Il ricordo dell’America che badava al portafogli e perdonava a Clinton lo scandalo Lewinsky è ormai una cartolina ingiallita. Chiamarsi Clinton è semmai un problema per Hillary. Perché l’America è cambiata. E purtroppo, l’impresentabile Trump, il candidato che imbarazza gli stessi repubblicani, sa interpretare tale cambiamento. Ieri sera, salito su un palco in Pennsylvania appena finito lo show democratico, Donald gridava contro la corruzione e le menzogne del potere, contro i media che mentono e Wall Street che tradisce i lavoratori e le speranze dei giovani. Credo che Michelle Obama abbia capito per prima che, se Trump dovesse vincere, a perdere non sarebbe solo Hillary, ma anche Barack, ”l’amore della mia vita”, lo ha chiamato, che il bilancio della sua presidenza finirebbe nella polvere. Tardi, molto tardi, ma il Partito Democratico sembra aver compreso di aver sbagliato molto, di avere letto un copione fasullo. E ha cercato di sorreggere la candidata gelida, dandole calore, empatia, quella spinta morale e programmatica che le è sempre mancata. Come finirà? Se la svolta non è arrivata troppo tardi, Trump non dovrebbe domani poter vincere. Quanto poi a cosa farà Clinton alla Casa Bianca, se la paura di questi giorni le avrà fatto recuperare il senno o se invece proseguirà nell’illusione di poter curare l’America riproponendo guerra fredda e dottrina Truman, questo non posso davvero prevederlo.
Il je m’en fous di Jean-Claude Juncker è stato una scivolata, ma dà il senso del fastidio, e a volte del disprezzo, che sparate e contro sparate di Renzi stanno provocando nelle cancellerie europee. Non si può fare l’allievo fedele di Angela Merkel, vantarsi di essere entrati con Francia e Germania nella locomotiva che guida l’Europa, e il giorno dopo sparare su tutto. Non si può promettere di ridurre il deficit, anzi vantarsi di fare di più e meglio degli altri in questa direzione, e poi sforare alla grande, presentare come entrate strutturali quelli che sono una tantum, giocare su tragedie vere (terremoto ed emigrazione) per ficcare nella nella legge di stabilità bonus, sgravi e mance per vincere il referendum. Anche ieri, rispondendo a Juncker ha detto che i soldi gli servono per l’edilizia scolastica. Bravo, bene. Purtroppo la finanziaria è stata tradotta in inglese e in Europa tutti sanno leggere l’inglese.
Come è farsesco scagliare la pietra e nascondere il braccio. Ha insultato per ore D’Alema e Grillo, Bersani e Berlusconi tutti mestatori, politici falliti, che mai hanno concluso nulla e perciò si rodano di livore e di invidia, e poi meravigliarsi se qualcuno gli risponde. Persino Bersani ha replicato allo spirito della Leopolda: “dicono fuori fuori, non si preoccupino fuori ci stanno già andando. Io sono per dire dentro, ma se continuano così, a un certo punto, bisognerà rassegnarsi”. Persino il ritrovato Cuperlo avverte: “se si arriva alla rottura la colpa è del premier”. Ieri Mentana, presentando l’ultimo sondaggio sul referendum, spiegava che gli indecisi si orientano più sul No. E tra i partiti crescono ancora i 5 Stelle. Per favore, fermiamolo. Con un bel No il 4 dicembre. Salviamoli da loro stessi. Ieri, dalla Gruber, nel faccia a faccia con Onida, la Boschi sembrava un disco rotto. Che tristezza.