“A casa solo se sfiduciato”. Titolo di Repubblica che riprende una frase detta da Renzi a Bologna durante il confronto-scontro con il presidente dell’Anpi, Smuraglia, moderato da Gad Lerner. Dunque la minaccia di dimettersi, addirittura di lasciare la politica, se la legge costituzionale fosse stata bocciata dagli elettori, era un bluff. Il tentativo di spostare l’attenzione degli italiani dal bilancio (magro) dell’attività di governo (e dalle sconfitte Pd a Napoli, Roma, Torino), sui temi della riforma costituzionale. Suggerendo un transfert: se il governo stenta la colpa non è di chi governa, ma dalle regole che ha ereditato e che vanno cambiate in fretta. Renzi e Boschi fecero di tutto – una vera corsa contro il tempo – perché il voto popolare referendario (Vi ricordate? A ottobre!) coincidesse con quello parlamentare sulla legge di stabilità. In modo da poter dire (e Renzi lo disse) “se vince il No, il governo va a casa e l’indomani si sciolgono le camere”. Si sciolgono in autunno? Con la finanziaria da approvare? Con il rischio dell’esercizio provvisorio, del rimbalzo dello spread e di una catastrofe finanziaria? Sì, era proprio questo il senso del ricatto, del bluff che oggi si sgonfia. Tant’è che il governo si prende ora tutto il tempo possibile prima di fissare la data del referendum. Voteremo a fine novembre o inizio dicembre, quando la finanziaria sarà già stata approvata da un ramo, almeno, del parlamento. Per cui la vittoria del Sì o del No non dovrebbe smuovere più di tanto i mercati e lo spread. D’altra parte lui, il premier, ora assicura di voler andare comunque avanti. Alla Camera, grazie al premio di maggioranza ottenuto da Bersani con il Porcellum. Al Senato, grazie ai voti di Alfano, di Formigoni, di Verdini, di qualche ex leghista ed ex 5 Stelle. Provvidenziali cavalieri di ventura.
La battaglia del No alla Deforma ottiene un primo risultato. Il governo torna parlamentare, con un premier non eletto dal popolo ma scelto dal presidente della Repubblica e che resta in carica finché una delle due Camere con lo sfiducia. Resta il vulnus che ha segnato l’intera XVII legislatura. Perché se la Costituzione non prevede l’elezione diretta, tuttavia sottointende che i Partiti di maggioranza facciano quello per cui hanno chiesto il voto. Questo non avviene dal 2013. Anzi succede il contrario. Un partito che aveva detto “mai al governo con la destra” e che aveva chiesto un voto per una “Italia bene comune”, da quasi 4 anni governa con le destre e adotta, con proterva coerenza, tutte le ricette del liberismo. I trasformisti sono loro, Napolitano, Renzi, Alfano e Verdini. Invocano una democrazia immediata (fiducia solo alla camera, maggioranza garantita dal premio, una legge che consenta “la sera stessa del voto chi ha vinto e governerà”), ma intanto usano il più vecchio arnese del parlamentarismo italico, noto già a Depretris e Giolitti. Il trasformismo!
L’Italia frena, Pil a + 0,7. Titolo del Sole24Ore. Le stime di Confindustria sono una doccia fredda non tanto perchè correggono al ribasso le stime del governo: +0,7% anziché +1,2%, come previsto ad aprile, o +1% delle ultime slide di Palazzo Chigi, ma perché segnalano che la ripresa rischia di spegnersi e fotografano i passi indietro che l’Italia ha compiuto. Dopo lo +0,7 del 2015 verrà uno +0,5 nel 2017. I prezzi resteranno al palo quest’anno: +0,0% per risalire l’anno prossimo solo dello 0,6%, molto meno del 2%, obiettivo indicato da Draghi. La ripresa si sfarina, la deflazione non molla. Il governo Renzi non ha arrestato il declino. Dal 2000 al 2015, nota Confindustria, il Pil è aumentato in Spagna del 23,5%, in Francia del 18,5, in Germania del 18,2% mentre in Italia è calato complessivamente dello 0,5%. Caso mai ci fosse un rapporto tra riforme (elettorali e costituzionali) e crescita economica, questa tabella andrebbe integrata con la constatazione che il Porcellum è stato sperimentato per la prima volta nel 2001. L’aver voluto un esecutivo “forte” e un Parlamento debole e un uomo solo al comando (prima Berlusconi, poi Monti, infine Renzi), non pare aver prodotto grandi risultati, se l’Italia ha perso così tanto terreno in Europa. Ora, dice la Stampa, “Tagli per 5 miliardi. L’Europa blocca la richiesta sulla flessibilità. I risparmi dovranno crescere”.
Raggi, attacco dai 5 Stelle. È il titolo del Corriere. I fatti: Roberta Lombardi ha definito Raffaele Marra (uomo di fiducia della sindaca) “un virus che infetta il movimento”. Post “condiviso” da Carla Ruocco che ha sfidato la Raggi a pubblicare “i pareri dell’anti corruzione sulle nomine di Marra e Romeo”. Le opinioni: Carlo Bonini, su Repubblica, spiega che secondo Cantone (anti corruzione) Marra (allora collaboratore di Alemanno) avrebbe saputo e taciuto dei traffici di Mafia Capitale. Ma Iacoboni, La Stampa, sostiene che quella della Lombardi (soprannominata “la faraona”), della Ruocco e dei De Vito (fratello e sorella) contro Virginia Raggi sarebbe la più classica lotta di potere, da parte di una cordata che di potere a 5 Stelle ne avrebbe avuto molto nelle mani (l’organizzazione di manifestazioni pubbliche, la raccolta dei fondi) e non si rassegnerebbe a vedersi scavalcata da Virginia e dai suoi pretoriani (Marra, Romeo, Muraro). Così Grillo è dovuto intervenire (di nuovo) per ricordare che Virginia Raggi è il sindaco eletto, votato a Roma da 770.564 cittadini e che perciò “non si tocca”. Fin quando realizzerà il “programma” a 5 Stelle. Tuttavia risulta evidente come, anche nel Movimento come in tutti i partiti, operino ormai delle correnti. Ognuna delle quali persegue propri obiettivi pur ribadendo fedeltà ai valori costitutivi e stima per il fondatore-garante. Di Maio e Di Battista hanno detto di essere amici per la pelle. Sarà pure vero, ma la tesi secondo cui a Roma ci siano stati solo “errori e ingenuità” non tiene. È in corso una vera e propria battaglia politica. Di cui sarebbe bene chiarire i termini.
Merce umana, titola il manifesto. Un operaio egiziano di 53 anni, che scioperava per i diritti dei precari impiegati come facchini dalla GLS, ditta di trasporti della provincia di Piacenza, è stata investito e ucciso da un autista. Un altro degli ultimi, che lavorava anche lui per la Gls. I compagni di Abd Elsalam Ahmed Eldanf dicono che sull’autista erano state fatte pressione affinché lui, sopra quel bestione di un tir, non si facesse bloccare da quegli ometti che picchettavano. Dopo “l’incidente”, sarebbe stato salvato a stento dal “linciaggio” dei manifestanti. Ma finora è accusato solo di “omicidio stradale”, perché al PM non risulta che al momento della tragedia “fossero in corso manifestazioni sindacali”. Dico solo, che al tempo del liberismo, delle diseguaglianze e dell’attacco ai “diritti acquisiti”, la lotta (mortale) tra poveri diventa un inevitabile “danno collaterale”. Aveva 5 figli, aveva studiato e in Egitto lavorava da insegnante. A Piacenza da facchino, per sostenere la famiglia.