11 settembre, 15 anni fa. Che cosa dovremmo ricordare di quel giorno? Che fu un attacco contro la mondializzazione capitalista (le torri del commercio mondiale) e la potenza militare (un aereo kamikaze prese di mira il Pentagono) che la sosteneva. Un atto di guerra in nome di una lettura dell’islam vecchia di due secoli e mezzo che perorava il ritorno a costumi medievali (donne velate, guerrieri dalle barbe incolte, distruzione di monumenti e immagini, guerra a ogni forma di cultura in quanto potenzialmente corruttrice). I responsabili erano vicinissimi (imparentati, protetti, collusi) con il principale alleato degli Stati Uniti in Medio Oriente, l’Arabia Saudita. Ed essi stessi (Bin Laden & Co) erano stati armati, reclutati e utilizzati nella guerra contro il nemico sovietico in Afganistan. L’obiettivo degli assassini all’ingrosso era costruire una base operativa e un punto di riferimento ideale per la loro jihad (in Afganistan con l’alleanza tra Bin Laden e il Mullah Omar, Al-Qaeda e i Talebani). Dal primo momento fu chiaro (a chi avesse occhi per vedere e orecchie per ascoltare) che la “guerra” contro questa forma di mondializzazione reazionaria e disumana avrebbe dovuto essere innanzitutto ideale, la riaffermazione della nostra superiorità, della difesa dei diritti e delle libertà per tutti. Evidente era altresì la necessità di proteggere e appoggiare i nemici di Al Qaeda: poco prima dell’attacco alle torre gemelle Massoūd fu ucciso da kamikaze che finsero di intervistarlo con una telecamera bomba. E che era indispensabile rivedere le nostre alleanze mettendo alle strette le monarchia reazionarie del golfo che pagavano e pagano gli imam integralisti, proteggevano e proteggono i terroristi.
15 anni buttati via. Dopo la strage George W Bush chiese al mondo aiuto e solidarietà per distruggere le basi di Al-Qaeda in Afganistan e rovesciare i Talebani. Allora ci scoprimmo “tutti americani”. Ma la “guerra” si fermò alle porte del Pakistan potente alleato dell’Occidente. A Kabul viene insediato un pashtun (come i Taliban e i militari pakistani) che aveva vissuto in America e si rivelò presto corrotto e incapace di governare. Bush, mentre rinunciava a inseguire Bin Laden, decise di colpire un bersaglio più grosso, l’Iraq di Saddam Hussein. Anche qui un ex alleato (nella guerra contro l’Iran) che aveva solamente preteso la sua merce ed invaso il Kuwait. Saddam non aveva armi di distruzione di massa: la Casa Bianca mentì al mondo e inventò false prove. L’esercito e la burocrazia sunnita di Saddam era essenzialmente laica: la guerra americana la spinse nelle breccia dei più fanatici estremisti. E venne la vergogna della tortura nella prigione americana di Abu Ghraib, venne Guantanamo e la violazione del diritto. Gli Stati Uniti persero la guerra lasciando l’Iraq in mano a terroristi islamici e fanatici (figli di Al-Qaeda e del nazionalismo sunnita iracheno). Nacque così l’embrione del califfato che poi si estese alla Siria. Via via gli Stati Uniti hanno perso credibilità e forza in medio oriente. Fino a ieri, quando è stata la Russia di Putin a dettare le regole per una tregua in Siria. Tregua, che se fosse rispettata, consentirebbe poi a Russia e Stati Uniti di colpire insieme il Daesh. E di tenere a bada (sarà possibile ?) sia il macellaio Assad sia i “ribelli” di Al-Nusra, che degli attentatori dell’11 settembre sono gli epigoni.
Si vuole cambiare l’Italicum? E che problema c’è. Arrogante come sempre, mentitore più che mai. C’è il problema che l’Italicum è stato imposto dal governo con la forza e con il voto di fiducia, ricattando il partito di maggioranza relativa e l’intero parlamento. Il governo ha cambiato verso? Ora non pensa più che “tutto il mondo ci imiterà quella legge”? Ha capito che consegnare a chi abbia ottenuto meno del 40% dei consensi il 54% dei seggi parlamentari è uno sproposito? Si è reso conto che l’elezione al secondo turno del premier (che si trascina dietro un ciurma di nominati) configura una forma di premieranno assoluto, senza contrappesi, pericolosissimo per la democrazia? Nessuna risposta. Perché Renzi e Boschi non possono rispondere senza perdere la faccia. Perché senza la legge elettorale perfetta la modifica sgangherata di 47 articoli della costituzione è solo uno sfregio al buon senso, un guscio vuoto che crea un senato di miracolati con immunità parlamentare e riduce le competenze delle regioni dando la stura a migliaia di ricorsi alla Consulta. Perché non è affatto detto che Renzi voglia cambiare verso nemmeno sulla legge elettorale, ridando (in qualche modo) agli elettori il diritto di scegliere gli eletti (con la proporzionale con preferenza, o con il sistema dei collegi uninominali). Insomma, siamo davanti all’ennesimo bluff del presidente segretario.
Roma senza governo, titolo di Repubblica che riprende un duro giudizio dell’Osservatore Romano. Ieri Virginia Raggi non è andata in Vaticano per la festa dell’azione cattolica. Si è presa questa ennesima botta. Che altro poteva dire la chiesa se non constatare che Roma non ha ancora un governo? Attenuanti, quanto si vuole, alla inesperienza e all’impreparazione di una forza politica giovane, ma un fatto è un fatto: manca ancora l’assessore al bilancio, manca una direzione salda delle industrie (trasporti, rifiuti) che fanno capo al comune, manca la presenza visibile del sindaco a fianco di chi vive e lavora nella capitale. Non siamo perfetti, ha detto ieri Beppe Grillo. Nessuno gli chiede di esserlo. Ma di governare, sì.