Firma tra Stati Uniti e Cina, e sotto la foto di Obama che stringe la mano di Xi Jinping. “Emissione compiuta”, titola il manifesto. Usa e Cina sono i più grandi inquinatori del pianeta e la prima e la seconda potenza economica. Firmando l’accordo di Parigi per ridurre l’emissione di gas serra, si impegnano a far meno danni. In realtà entrambi hanno già fatto qualcosa. Washington ha investito molto sull’economia cosiddetta verde, ed è stato questo anche un motore di una ripresa, negli Stati Uniti meno flebile che in Europa. La Cina, constatata l’insostenibilità del suo modello di sviluppo, ha scelto di raffreddare la crescita, fondata sulla produzione a basso costo di tutto per invadere tutti i mercati, scegliendo di investire su infrastrutture e consumi interni. Così facendo, mentre crollava il prezzo del petrolio e delle materie prime, ha però consegnato l’economia mondiale a una sorta di stagnazione che i più allarmati definiscono secolare. È la contraddizione della fase attuale.
Muraro indagata, la crisi di Roma e il rebus di Raggi. Così titola il Corriere della Sera. Perché rebus? Perché pare che la sindaca voglia confermare Muraro dopo aver cacciato Raineri, sulla base di un parere chiesto all’autorità anti corruzione e non, come sarebbe stato più corretto, al consiglio di stato. Perché non si capisce se Marra, l’uomo che la Raggi ha estratto dalle fila di Alemanno e Polverini, sia stato promosso o invece posto in quarantena. Perché l’ultimo indipendente di prestigio della giunta romana, l’assessore all’urbanistica Paolo Berdini, si dice “scosso” dall’accaduto e “a disagio”. L’unica novità a 5 stelle è la difesa della Raggi firmata Di Battista. Una difesa che attacca i giornali che parlano dei guai della Raggi e non di quelli, peggiori, del sindaco di Milano. Sala, scrive Di Battista, “ha mentito sulle sue proprietà. Ha nominato assessore un suo socio in affari ed è stato costretto a rimuovere il suo segretario generale (dopo solo 5 giorni) perché è stato rinviato a giudizio per turbativa d’asta”. Ma che discorso è, caro “Ale”? Non era Sala un renziano, uno della casta, votato dal Pd, ammanicato con ’Expo? E la Raggi non era invece la Virginia del Movimento, l’apriscatole che svela ogni magagna di casta, la pulzella d’Orleans dei cittadini al governo? Se si mettono i due a confronto, si ammette la perduta verginità del Movimento 5 Stelle.
Pensioni si cambia. Banche la rivolta dei sindacati. Titoli di Repubblica e della Stampa. Quanto alle pensioni, si tratterebbe di varare una specie di prestito flessibile, cui potrebbe accedere chiunque voglia andare in pensione anticipata. E, insieme, di concedere qualcosa ai pensionati al minimo. Costo previsto 2 miliardi: il governo ne discuterà martedì, in una sorta di simil concertazione. Quanto alle banche, la Stampa sostiene che il premier avrebbe già messo la sordina alle sue dichiarazioni sul numero eccessivo degli sportelli e sull’indispensabile taglio dei bancari. Ma, secondo Stefano Lepri, “al tavolo del G20 in Cina tutti gli altri attorno a lui (Renzi) sapranno che le banche italiane preoccupano l’intero pianeta”. È davvero così? E basta per rassicurare l’annuncio di qualche taglio?
Indossavano la maglietta del No, scrive il Fatto: “la polizia li ha tenuti fuori”. Non si fa, non si professa un’altra religione, non alla festa del Pd trasformata in festa del Sì. Sempre al Fatto Zagrebelsky annuncia che se vincessero i Sì rinuncerebbe a insegnare diritto costituzionale. “Perché io – dice – molte parti di quella riforma non le ho capite”. Per esempio come possano i consigli regionali “eleggere”, cioè scegliere, i senatori se poi questi devono essere “indicati” dal voto popolare. Sul voto referendario la Stampa pubblica un sondaggio di Piepoli: No al 51%, Sì al 49. Tra gli elettori del centro sinistra aumentano i Sì, 29%, e diminuiscono i No, 13%. Tra gli elettori del “centro destra e indecisi”, crescono invece i No, 20% e calano i Sì, 16%. Il sondaggista ne desume che a decidere l’esito del voto saranno alla fine gli elettori del centro destra. Dunque se Renzi trovasse “una quadra” con mister B, potrebbe ben sperare. E la Consulta potrebbe favorire una tale “quadra”. Accogliendo i ricorsi sull’Italicum e “tagliando” i ballottaggi, potrebbe “sminare” il confronto. La riforma resterebbe pessima ma apparirebbe meno pericolosa senza una legge ultra maggioritaria.
Perotti, chi era costui? Scommetto che non ve ne ricordate. Economista bocconiano, da settembre del 2014 a novembre del 2015 è stato consigliere del presidente del consiglio. Per il Corriere lo ha intervistato Federico Fubini e vi consiglio di leggere l’intervista nella versione integrale. Ecco l’incipit: “Ero andato a Palazzo Chigi, chiamato, per ridurre la spesa pubblica. Poi però mi sono reso conto che si era deciso di non farlo seriamente”. Si tratta di una garbata ma inesorabile bocciatura dell’intera politica economica del governo. Anche se – ma questo è persino peggio – Roberto Perotti riconosce a Renzi la buona fede: avrebbe voluto e non ha saputo. Dal punto di vista del Caffè, il dialogo Fubini-Perotti rivela come stia crescendo, in parte della borghesia “illuminata”, il desiderio di trovare un’alternativa meno parolaia e più efficace di quanto non si stia rivelando la “narrazione” renziana. Sempre sul Corriere, Dario Di Vico sostiene che a Cernobbio “l’europeismo tradizionale” scopre le disuguaglianze”. Da Padoan a Timmermans a Dijsselbloem i guru di questa Europa si starebbero convincendo che non aveva torto Piketty: se continuano a crescere le disuguaglianze, non ci sarà ripresa che tenga, il ceto medio continuerà ad essere molto arrabbiato, la stabilità politica resterà a rischio. Altro che “flessibilità” da concedere o non concedere, quella che non tiene più è l’intera strategia della Terza Via.