L’Italia non cresce, allarme PIL, debito record, crescita zero. Nell’ordine, ecco i titoli di Stampa, Repubblica, Corriere e Sole24Ore. I dati sono presto detti. Nel secondo trimestre l’Italia ha totalizzato il risultato peggiore in Europa insieme alla Francia: crescita zero. Ma in Francia hanno pesato gli scioperi contro il jobs act e la crescita tendenziale nell’anno resta dell’1,4% il doppio che in Italia, dove non supererà lo 0,7%. La Germania è cresciuta dello 0,4 nel trimestre e dell’1,7% nell’anno. Lo stesso l’Euro zona, o,4 e 1,8%. Inoltre in Italia ristagnano i consumi e il debito pubblico è cresciuto in un solo mese di ben 7 miliardi toccando i 2.248,8 miliardi di euro, una cifra che spaventerà i rigoristi europei rendendo improbabile (o molto salata, in termini di condizionamenti politici) la concessione di nuovi trattamenti di favore al nostro governo, pur di mantenerlo in sella. E Renzi che fa? Invece di riconoscere che jobs act, taglio dell’IMU e incentivi a pioggia alle imprese si sono rivelati una medicina poco efficace, accusa chi lo contesta di rendere il paese meno stabile e promette sfracelli in Europa, la quale dovrà concedere “più flessibilità”.
La narrazione s’è rotta, più nessun gli crede. Per Repubblica, Francesco Manacorda parla di “Riforme che mancano” e Stefano Folli, descrive un premier preoccupato solo di non perdere il referendum, intento a nascondere la cenere (dell’economia) sotto il tappeto, facendo così aggrovigliare i nodi del nostro ritardo senza provare a scioglierli. Guido Gentili, sul Sole24Ore, cita Krugman e spiega come la nostra palla al piede sia la più bassa produttività. Mario Deaglio, per la Stampa, disvela il cortocircuito finanziario che potrebbe scatenare la tempesta perfetta: il debito che cresce dovranno finanziarlo le banche, ma alcune banche hanno bisogno di finanziamenti pubblici. Dario Di Vico, per il Corriere, avverte che il peggio potrebbe ancora arrivare: solo un quarto delle nostra industria ha superato il check della crisi, un quarto è defunto, la restante metà rischia di perire o scappare all’estero.
Piove, governo ladro? No, il governo forse non ruba, ma se continua a negare che fuori piove inevitabilmente si troverà la casa allagata. Da anni s’è rotto, ovunque nel mondo, il meccanismo che autorizzava a sperare nell’arrivo dopo ogni crisi di una crescita sostenuta. L’economia cinese rallenta, quella di paesi emergenti come il Brasile è nella peste per il crollo del prezzo delle materie prime, le disuguaglianze crescenti negli Stati Uniti e il concentrarsi della ricchezza in pochissime mani alimentano la speculazione finanziaria (con bolle che scoppiano sempre più di frequente) e scoraggiano investimenti e consumi. L’Italia sta peggio perché mafie, corruzione ed evasione continuano a succhiare risorse, perché è governata alla giornata e dunque male – si pensi alla rete WiFi, penosamente inadeguata -, perché la metà della sua industria produce per il mercato interno e, in assenza di una crescita sostenuta della domanda, ha bisogno per sopravvivere di continue dose di metadone; sotto forma di sgravi governativi con cui far cassa o di tangenti da pagare per accaparrarsi commesse.
Quello che servirebbe, amici miei, è una politica di sinistra. Un piano di investimenti pubblici (che in parte ne trascinerebbero di privati) per riconvertire l’industria. Solo dopo aver individuato precisi orientamenti di politica industriale. Puntare sui consumi collettivi, sullo sharing, cioè sul solo modo di consumare che si offre ai nostri figli, i quali sono più poveri dei genitori, e lo sono in Italia ancor più che nel resto dell’occidente. Una lotta severissima all’evasione fiscale, all’intermediazione mafiosa, alla corruzione (che resta il lubrificante abituale del rapporto politica impresa). Non meno tasse, ma trasparenza delle tasse come della spesa: in modo che si sappia dove finisce ogni euro, in quale servizio sanitario, per aiutare (e come) i ragazzi a trovar lavoro, per sostenere quali poveri e in che modo. È realizzabile una tale politica “di sinistra”? È difficile, perché l’Europa a trazione tedesca non ragiona in codesto modo. Ma non impossibile, finché Mario Draghi, stampando euro e comprando titoli del debito, renderà meno insopportabile il peso del debito italiano.
Coraggio, visione del futuro, capacità di autocritica. Questo serve. Matteo Renzi cercherà, invece, di prender tempo. Proverà a vincere il referendum, comprandosi pezzi di ceto politico – la minoranza a cui ora vuole concedere l’elezione dei consiglieri senatori – e usando la parola magica “riforma” – meglio una riforma così così che nessuna riforma – esattamente come i conquistadores usavano vetri colorati e paillettes per gabbare gli indios. Poi – magari con un nuovo patto del Nazareno – modificherà la legge elettorale, lasciandone l’impianto (proporzionale con premio di maggioranza) che tradisce il principio della rappresentanza, ma rinunciando al ballottaggio, che ormai – si sa – favorirebbe i 5 Stelle. È una politica questa? Sì, è la politica dello struzzo. Commenta un Altan: “Dice il Renzi che ha fatto un errore, forse”. Risponde l’altro Altan: “Allora è di sinistra, forse”. Giannelli titola “Viaggiare informati” e disegna una fila di macchine in autostrada: “Rallentamenti sull’autosole” dice la radio su una vettura. “Altro che rallentamenti, siamo completamente fermi” si ribatte da un’altro auto. “È la tecnica dell’informazione sul PIL”, è il commento finale. A questo punto si illumina di luce nuova la vignetta di Mannelli sulla Boschi. “Lo stato delle cosce”, aveva detto. Molto meglio, per questo governo, parlar di cosce che di cose.