Bestie islamiche! Alessandro Sallusti ha deciso di usare prole forti. E di provare a vendere qualche copia in più del suo Giornale, dopo averci provato con il Mein Kampf. Certo è non umano, se si vuole è bestiale, sequestrare persone che cenavano allegre in compagnia, chiedere loro di recitare certi versetti e, se non sapevano farlo, sgozzarli con il machete. Bestie evolute, tuttavia, con la connessione internet a portata di tiro e la testa piena di vento. E certo, queste particolari bestie non erano né cattoliche né indù, erano islamiche. Bestie islamiche, dunque. E ora che facciamo? Convochiamo il G8, chiediamo all’India indù di sottomettere Bangladesh e Pakistan. Alla Cina, Filippine e Indonesia. I nostri amici israeliani assoggetteranno Arabia Saudita, Emirati, Egitto. La Russia la Turchia, Noi europei magari il Maghreb e l’Africa sahariana e sub-sahariana. Dimenticavo, ci sono anche Siria e Iraq e poi l’Iran, perché la fatwā dell’Imam Sallusti accomuna sunniti e sciiti. Lì dovranno i nostri protettori americani, che già ci avevano provato, imponendo uno Scià alla Persia e poi con un paio di guerre in Iraq. Chissà perché poi hanno desistito. Lo bocca del cacciatore Sallusti è piena di parole forti, la mascella è tesa e minacciosa, ma il carniere è tristemente vuoto.
L’orrore e il sorriso. Repubblica mostra in prima pagina i sorrisi di Claudia e di Marco, di Adele, Claudio, Simona, Nadia, Maria, di Vincenzo e di Cristian. Vittime della carneficina. A pagina due e tre altri sorrisi, quelli senza nome dei 5 carnefici autori della strage. Questo è lo stato presente: noi uomini sorridiamo al futuro, ma possiamo farlo aggrappandoci alla nostra vita o scegliendo di ammazzare e di morire. Nel 1968 un regista britannico nato in India, molto a sud ovest di Dacca, immaginò il ribelle Mick Travis che fa seguaci e prende i mitra per cancellare le regole di un college britannico. L’anno dopo If vinse la Palma d’oro a Cannes. Svolgete lo stesso tema quasi 50 anni dopo. Dopo che per mezzo secolo i nostri amici sauditi hanno sguinzagliato migliaia di imam a promettere l’apocalisse islamica, cioè la distruzione della civiltà di Avicenna e Averroè, della civiltà che costruì le mura di San’a’ e il palazzo dell’Alhambra, per tornare alle origini, a un medio evo violento e purificatore, quando la legge faceva lapidare l’adultera e gli uomini portavano barbe incolte, proni a sottomettersi al potere politico del califfo e ubbidendo a lui credendo di ubbidire a Dio. Nel medesimo mezzo secolo noi occidentali abbiamo perso, con vergogna, una guerra in Vietnam, poi una economica con la Cina, abbiamo costruito lager in Cile, fatto ammazzare un milione fra comunisti e loro familiari in Indonesia, dilaniato e umiliato e insultato quella lingua di terra dove sono nate le tre le religioni monoteiste. Dove le regioni islamiche distano a pochi metri dalle radici giudaico-cristiane. E poi internet, che mette tutti in condizione di sapere (o di credere di sapere) e di agire subito dopo, senza bisogno di capi che chiedano ai loro capi, che chiedano ai loro. La bestialità è una malattia dell’uomo. Pol Pot pensava che la sua rivoluzione in Cambogia non dovesse cambiare i rapporti di produzione ma la natura dell’uomo, a colpi di bastone. L’innovazione straordinaria, di cui siamo testimoni e protagonisti sta cambiando la natura dell’uomo; la quale, beninteso, è un prodotto storico ma nella storia mutava lentamente, nel corso di secoli e millenni, non nel volgere di qualche anno. La globalizzazione cambia la storia offrendo a tutti tutte le merci e ogni possibile sogno. Cambia la natura dell’uomo con il bastone del denaro, della pubblicità e dei meravigliosi mezzi di comunicazione. L’uomo cambia e sorride, cambia davvero e diventa migliore: non intendo negare l’emancipazione delle donne, il progresso dei diritti e delle libertà, ma la reazione di rigetto e il femminicidio, la pulsione di morte come inno a una vita possibile eppure negata, accompagnano naturalmente un cambiamento tanto accelerato. Se tutto è possibile e niente lo è, posso prendermi la vita degli altri e la mia. Vivere morendo.
Quando Al Wahhab visse 250 anni fa, faceva le sue prove con la prima mondializzazione, quella che ebbe l’illuminismo come ideologia e come alfieri l’imperialismo inglese e le guerre napoleoniche. La rozza predicazione di quell’ideologo settario era – ahi noi – modernissima. Consisteva nel depurare l’islam da ogni mediazione, di semplificarne il messaggio, e negare ogni possibile interpretazione del Corano se non quella letterale. L’islam in pochi scarni tweet. La morte del nemico come sola propaganda. L’esaltazione del potere del califfo con l’alibi della sottomissione al potere senza nome. Perché Dio non è nominabile, né raccontabile, né umano: è sovrumano. E dunque sovrumana è la politica in nome di Dio. L’occidente non ha voluto capire – ancorché fosse tutto scritto -, ha trattato quei fanatici come rozzo antidoto all’emancipazione di una parte del mondo. Per dividere il medio oriente e sottometterlo all’Impero Britannico, per farne un alleato dell’America agli albori della guerra fredda, per usarlo contro il nazionalismo pan arabo e il movimento dei non allineati, lo ha armato contro i russi sovietici e contro gli sciiti iraniani. Siamo noi occidentali che abbiamo coltivato nel nostro seno la serpe dell’anti globalizzazione globalizzata che ora ci atterrisce, dall’11 settembre alla strage di italiani nel caffè ristorante di Dacca. Non vedo che un modo per uscirne: rendere umana la globalizzazione. Vasto programma, lo so. È come chiedere una rivoluzione mondiale, mentre ognuno di noi si è ridotto a fare lobby per migliorare di un niente lo stato presente delle cose. Nel tempo in cui appaiono totalizzanti solo le ideologie delle destre, sia quella islamico wahabita che l’altra che unisce Trump, Farage, Orban e la Le Pen, e che vorrebbe chiudere i nostri popoli in altrettante fortezze inespugnabili, per proteggerli dal cambiamento che noi stessi abbiamo imposto al mondo. Cambiamento che ora muove decine di milioni di migranti, arma migliaia di kamikaze, mette sulle nostre tavole gamberi allevati in Pacifico e sgusciati in Africa.
Socialisme ou Barbarie, quando ne scrisse Castoriadis, quasi 70 anni fa, l’idea era quella che solo prendendo in mano la sua storia l’uomo potesse evitare le catastrofi del nazismo, della guerra, dello stalinismo. In questi decenni – soprattutto negli ultimi tre – la politica e la sinistra hanno imparato a fare il contrario, si sono acconciate ad attaccare l’asino dove voleva il padrone e a lasciar fare ai mercati. Al denaro che liberamente crea denaro e disuguaglianze, alla pubblicità che promette, in terra e a ognuno, le cento vergini, ignude e levigate, del paradiso islamico. All’industria farmaceutica che garantisce di vincere la vecchiaia con lifting e diete. Consumare e partecipare, ottimizzare la gestione del proprio vagone rimanendo lontani dalla locomotiva che corre in testa al treno. Nessuno vede che, davanti, le locomotive sono due e una corre verso il baratro. Forse il capitalismo saprà aggiustarsi da sé, forse un nuovo meraviglioso chip separerà le due locomotive e consegnerà quella cattiva a un binario morto. Ma ci vorranno decenni e ci saranno nuove stragi. Stupri collettivi e insulti all’ambiente e alla vita. Possiamo aspettare? Allora non lamentiamoci troppo. Dopotutto anche gli intellettuali realisti – come gli islamici estremisti – chiedono a noi tutti di aver fede e promettono felicità in cambio di sottomissione.