C’era una volta l’Europa. Semplice, evocativo, non vanamente consolatorio. Il titolo più efficace è del Manifesto. Gli altri parlano di “tempesta”, la Stampa, di “colpo all’Europa”, il Corriere, di un “piano per salvarla”, La Repubblica. Oppure usano l’esortazione: “Europa svegliati!”, il Sole24Ore. Ricorderete: dopo aver vinto il suo referendum Tsipras fu umiliato dalla Merkel, da Hollande, da Renzi e tutti si accorsero che “Atene non aveva un piano B”. Ora sono gli aguzzini di Trsipras a non avere “un piano B” davanti alla porta che gli elettori britannici gli hanno sbattuto in faccia. Sì, certo, Draghi allaga borse e banche stampando euro, compra titoli del debito italiani e spagnoli per evitare che lo spread torni. Sono risposte necessarie ma il loro effetto è temporaneo: possono attutire il crollo delle borse – pauroso quello di Milano, meno 12,5% -, possono evitare che l’euro si apprezza dopo l’ondata di vendite che investe la sterlina. Ma poi? I commenti di Polito per il Corriere, Scalfari su Repubblica, Napoletano per il Sole, confermano questo vuoto di idee: chiedono – in modo più accorato e urgente il direttore del Sole24Ore – che i politici al governo in Francia, Germania e Italia, facciano ora quello che non hanno fatto fino a ieri: che diano all’Europa, con urgenza, sotto la pressione del Brexit, istituzioni federali e democratiche, che imbocchino per l’Europa la strada di una politica espansiva e più solidale. Dove erano questi commentatori quando gli stessi governanti strozzavano la piccola Grecia, in nome delle regole immutabili che presiedono al modo folle con cui si è costruita l’Europa dell’euro? Dove, quando in Spagna si infliggeva un colpo doppio ai lavoratori e alle famiglie in nome della ripresa: prima il licenziamento poi lo sfratto? Il piano di cui parla Repubblica nel titolo si limita a due mosse. La prima: fare presto, visto che Londra deve uscire, che esca subito. La seconda rimanda come al solito alla BCE e quello che può fare, per limitare i danni, l’onesto Draghi. Non basta. Perché – ha ragione Ezio Mauro – la malattia d’Europa è prima di tutto una malattia politica.
“L’europeismo non è più un sentimento politico, in nessuno dei nostri Paesi”, scrive l’ex direttore di Repubblica. “L’antieuropeismo è invece un risentimento robusto e potente, distribuito a piene mani dovunque”. Siamo arrivati fin qui perché : né Cameron né Merkel, né Hollande né Renzi, sono mai stati leader europei. Sono stati, e sono, leader nazionali pronti a usare a piene mani populismo e demagogia per confermarsi nel loro ruolo. Cameron ha voluto il referendum: pensava di domare gli istinti nazionalisti e secessionisti del suo paese e si è visto con che risultato. In tutti questi anni Merkel ha fatto credere ai tedeschi di aver generosamente contribuito a un progetto – l’Euro e l’Europa – nascondendo i vantaggi incassati dalla Germania nell’operazione e promettendone altri, grazie alla sua leadership e alla sua grinta nell’imporre “compiti a casa” e sacrifici ai partner più deboli. Hollande contro ogni evidenza ripete ai francesi “Ca va mieux” mentre strizza l’occhio alla Grandeur gollista, con le sue incursioni in Africa e in Medio Oriente. Renzi, toglie diritti e deprime la partecipazione democratica, come gli chiedono le istituzioni sovra nazionali, ma distribuisce bonus elettorali e sgravi fiscali, e mostra i muscoli da giovanotto con cui – promette – rimetterà in riga “i burocrati” di Bruxelles. E, con questo spettacolo, vorreste che il sentimento europeo vinca il risentimento? Naturalmente ogni segno di rinsavimento, ogni ritorno a una politica degna del nome, l’abbandono del populismo dei governi, sarebbe benvenuto. E non mancherò di segnalarlo e di lodarlo, qualora venisse. Per ora, lasciatemi constatare come questa classe politica e dirigente abbia fatto fallimento. C’erano un tempo le elites europee.
Ottimista, nonostante tutto. Lo sapete, a me l’analisi spietata serve per vedere, comunque, la possibilità che si può aprire. Possibilità non vuol dire “probabilità”, è solo uno spiraglio per il quale, comunque, val la pena di battersi. Lo vedo, questo spiraglio, nel voto di domani in Spagna: se Podemos vincesse o arrivasse a un’incollatura dai popolari, forse potrebbe dar vita a un governo delle sinistre, nonostante l’ottusità del Psoe. Potrebbe proporre una Spagna federale in un’Europa federale. Anche in Gran Bretagna qualcosa può accadere: i giovani hanno votato contro Brexit, anche se sono andati alle urne in percentuale più bassa degli anziani “risentiti” che hanno scelto il Leave. In tutte le città ha prevalso il Remain, nelle campagne ha trionfato il Leave. Scozia e Irlanda del Nord cercheranno di bloccare l’anacronistico nazionalismo imperiale britannico, a costo di disunire il regno, chiedendo di far parte dell’Europa e restando legati a Galles e England in uno stato federale molto lasco. Bernie Sanders, che non si è ritirato dalle primarie, dice però ai suoi millennials: votiamo per la Clinton e contro Trump. Non gli chiede di credere nella Clinton, di tornate sotto l’ala dell’establishment. Vuole almeno che il Partito cambi il suo programma, che si sposti a sinistra, mentre comincia a proporre la sua corsa entusiasmante come quella di un nuovo soggetto. In Italia c’è un’unica grande arma per salvare il salvabile: il referendum di ottobre. Trasformato in plebiscito pro o contro il realismo dei mercati, pro o contro l’Europa dorotea, pro o contro la politica che pretende deleghe in bianco, da un apprendista stregone che somiglia a Cameron come una goccia d’acqua a un’altra. Battiamoci perché vinca il No, perché si apra una vera fase costituente, con il dialogo con la destra senza inciucio nazareni con una apertura di credito (e con rispetto) nei confronti dei 5 Stelle. Se Renzi non Renzi fosse un leader politico, e non solo un tattico che gioca con la politica, prenderebbe atto del no e cambierebbe il verso della sua azione di governo. Altrimenti, senza rimpianti, avremo un Cameron in meno anche in Italia. La rivoluzione copernicana della politica vuol dire oggi partire dai giovani. Quelli che sanno che un lavoro sicuro non l’avranno, perché la ripresa che si annuncia fa persino crescere disuguaglianze e precariato. Quelli che lasciano il paese per studiare o fare ricerca, ma sono pronti a tornare. Quelli che sono italiani o turchi, inglesi o nati in Siria ma hanno un progetto comune: trasformare il mondo al lume della ragione, costruire la convivenza nel diritto. Progetto europeo! L’unico vero progetto europeo. Vedete, fa più per l’Europa un prete che dice a Yerevan, sì quello degli armeni fu genocidio, degli esorcismi e delle promesse dei politici professionisti dopo Brexit.