Come siamo, come saremo. El Pais pubblica l’ultimo sondaggio in vista delle elezioni politiche che si terranno in Spagna domenica prossima, 26 giugno. Il partito del premier Rajoy, in testa con il 29%. Inseguito da Unidos Podemos, con il 26%. Terzi i socialisti del Psoe, 20,5%. Quarto, Ciudadanos, 14,5. In verità penso che quello che accade in Spagna sia una delle possibilità del nostro futuro. Là si sono rotti i blocchi tradizionali della destra e della sinistra. Rajoy, il premier, ha portato la Spagna fuori dalla crisi; il PIL cresce, infatti, con un ritmo del 3%, ma la disoccupazione è altissima, il lavoro più precario e meno pagato, la corruzione, conseguenza inevitabile della disuguaglianza. Ciudadanos, l’altro partito della destra, è iper liberista, ma denuncia l’arroganza e la corruzione che rendono il privilegio intollerabile anche per parte della borghesia spagnola. Izquierda Unida e Podemos propongono, invece, una sinistra che si rifondi dal basso, a partire dalle liste civiche che hanno conquistato Madrid e Barcellona. Propongono politiche europeiste e keynesiane, combattono disuguaglianza e corruzione. Il Psoe è la solita sinistra della Terza Via, che vorrebbe redistribuire ma restando dentro le compatibilità del sistema neo liberista, che spera di mantenere unita la Spagna e teme le spinte autonomiste e dal basso. Nessuno di questi 4 partiti può vincere da solo, nonostante la legge spagnola sia maggioritaria. Con l’Italicum e il ballottaggio per il premier, invece, vincerebbe o il Partito Popolare o Podemos. Ma vincerebbe con il 17% degli aventi diritto al voto (se si tiene conto dell’affluenza alle urne che è rimasta in dicembre sotto il 60%). Una minoranza assoluta, non in grado di assicurare quel minimo di rappresentatività senza di cui è difficile governare. Dopo il 26 i socialisti dovranno accettare di governare con Iglesias e Podemos, o lasciare il governo alla destra.
In Italia Renzi ha dato al voto valenza politica e nazionale. Mi spiego. A Roma il Pd aveva fatto molto male: si era fatta passare sotto il naso Mafia Capitale, aveva eletto un sindaco “marziano” e poi lo aveva cacciato in modo vergognoso. il segretario del Pd non avrebbe dovuto presentare il simbolo, ma confluire in una lista davvero civica per sanare le ferite amministrative della capitale. Renzi ha imposto un suo uomo e un uomo di partito Giachetti. Inoltre, partendo sei mesi prima con una campagna referendaria giacobina, il premier ha messo nei guai i sindaci di Torino e Bologna, che rischiano di essere identificati con la sua politica: sì agli imprenditori e agli affari, ai centri storici vetrina e alle grandi opere, disinteresse per le periferie, per la questione sociale, per la sinistra. A Milano ha imposto un candidato manager piuttosto di destra, risuscitando così la destra che gli ha contrapposto un profilo di manager più coerente, e rischiando di perdere una parte del consenso di sinistra che si era addensato intorno a Pisapia. A Napoli il disastro: l’attacco a De Magistris, l’alleanza con Verdini, la riesumazione di ambienti contigui al malaffare.
Se perdesse solo Roma e Napoli, Renzi direbbe di aver vinto. E punterebbe tutto sul referendum. Se vincesse a Roma, avrebbe vinto davvero: vorrebbe dire che gli Italiani hanno paura dell’ignoto e sperano che il suo spavaldo egotismo possa aiutare l’Italia “nave (con nocchiere) in gran tempesta”. Se perdesse a Milano o Torino: il fantasma di un prematuro declino si inviterebbe alla sua tavola. Se poi perdesse sia Milano che Torino probabilmente dovrebbe dimettersi. La parola all’elettore, che è sovrano, ormai infedele, che decide all’ultimo e va dove lo porta il cuore. Le città? Al tempo del rottamatore, contano poco. Come Roma, soffocate dai debiti. Angustiate dal taglio dei trasferimenti e dalla necessità di aumentare le tasse locali. Sommerse da richieste che non hanno i soldi per soddisfare. Se guardiano oltre i grandi capoluoghi, il voto del primo turno ci dice che prevalgono sindaci capaci di drenare tutto e il contrario, con molte liste al seguito, obbligati a promettere e poi a mettersi in fila, con il cappello in mano, per ottenere qualcosa dal governo.
Invito Putin e tratto con Kim, dice Donald Trump, intervistato da Friedman per il Corriere. Il nemico sono i poveri. Gli immigrati. “Che errore madornale ha fatto Angela Merkel permettendone l’ingresso in Germania”. Gli arabi musulmani, non le monarchie islamiche del golfo. Il nemico è la Cina, da colpire con i dazi. Il nemico è il welfare: ci si arricchisca con debiti, truffe e sfruttamento. Donald dice di somigliare a Berlusconi, entrambi uomini nuovi che il capitalismo neo liberista presta alla politica. Secondo me – non me ne vogliate – Renzi, Hollande, la SPD ci preparano questo futuro. E farà bene Hillary Clinton a scegliere Elizabeth Warren per il ticket e a far sua la piattaforma Sanders su salario minimo, sanità per tutti, lotta alle disuguaglianze, se non vuole consegnare la Casa Bianca a una destra che accarezza la pancia del popolo e ne orienta la rabbia contro un nemico esterno. Consiglio di leggere Mein Kampf: delirio razzista e protezione del popolo tedesco.