È solo un voto locale. Quello di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna è solo un voto locale. È quel che dice Matteo Renzi in una imperdibile intervista concessa alla sua retroscenista di fiducia, Maria Teresa Meli, del Corriere della Sera. Il premier accusa “gli stessi” che gli hanno rimproverato “di voler personalizzare lo scontro per il referendum” di “legare il governo al voto di alcune realtà municipali”. A parte il ridicolo di ridurre l’elezione dei sindaci delle città più grandi a un “passaggio locale”, come si trattasse di Trapani, La Spezia e Ferrara, mi chiedo chi siano costoro che legano la crisi di governo alla vittoria di Parisi o della Raggi? È Renzi ad aver ripetuto fino alla nausea, “se vincono i No al Referendum lascio la politica” ed è Renzi che sta ripetendo come un ossessione “resto a Palazzo Chigi se perdo a Roma e Milano”. Lo ripete al punto da stancare il pubblico che segue per televisione. “Renzi non buca più. In tv effetto saturazione”, titola la Stampa: da Lilly Gruber, a 8 e 1/2, la puntata con Renzi ha fatto registrare uno share del 6,23%, quella con Bersani, il 6,70. Gargamella più seguito del rottamatore. Ma sapete poi a cosa il premier lega la sua permanenza a Palazzo Chigi? Non alla vittoria o alla sconfitta a Milano e Roma, lo abbiamo visto, ma alla possibilità, col referendum di “rendere il sistema più semplice o di lasciarlo com’è”. Più semplice lo volevano rendere quasi tutti. La semplificazione poteva passare in Parlamento a larga maggioranza. Renzi ha invece voluto una riforma confusa, che il bicameralismo restasse, che restassero ben 630 deputati, che i poteri di controllo e garanzia divenissero più deboli e indeterminati, al solo scopo di far giganteggiare uno solo, il premier che sarebbe stato eletto con l’Italicum. Nei suoi sogni: Matteo Renzi. Questa è la realtà.
I fischi non mi fermeranno, titolo di Repubblica. La velina di Palazzo Chigi pretende che le cattive notizie vengano mutate in buone notizie, che i rovesci appaiono sfide coraggiose e difficili ma che preparano il trionfo finale. Ieri il premier è stato fischiato dalla platea di Confcommercio, quando ha accennato agli 8o euro. Nonostante avesse cercato gli applausi vantando i segni della ripresa, nonostante avesse promesso ai commercianti di non aumentare l’Iva a nessun costo, e vantato la frequentazione del padre, democristiano, con dirigenti proprio della Confcommercio. Sentite come il premier-segretario parla dei fischi alla sua Meli: “Non vorrei deluderla troppo. Ma io ho preso i fischi dal primo giorno e continuerò a prenderli, mettendo la faccia ovunque”. I fischi li ha cercati, dunque. Sul jobs act,da sinistra. Sugli 80 euro, da destra. Tra i fischi, vincerà. Non sono, dice, come “l’Italietta che spende settimane a discutere della percentuale di due liste civiche”.
Si apre il dopo Berlusconi, La Stampa. Ha rischiato di morire, lo ha detto il suo medico. Ora dovrà sostituire la valvola che collega il ventricolo sinistro all’aorta, un intervento di 4 ore. Ha 80 anni, e con la politica – dice il suo medico – ora ha chiuso. L’idea per il dopo Berlusconi – ci informa Repubblica – è di tenere “una convention a settembre”, di dar vita a “un nuovo partito con Fitto, Verdini e un pezzo di Ncd”. Per il vertice, “sfida Parisi Carfagna”. Auguri a Silvio Berlusconi: un avversario politico, una persona che va rispettata.